lunedì 30 novembre 2009

Ma allora mi strozzi... ma quanto mi strozzi? E mi spari... ma quantomi spari?

Un posto dove non esistano problemi… Toto, secondo te c’è un posto simile? Deve esserci. Certo, non sarà un posto che si possa raggiungere in nave o in treno. È molto, molto lontano. Dietro la luna, al di là della pioggia.

Dorothy Gale (Judy Garland) al cagnolino Toto (accreditato come “Toto”: ma in realtà si chiamava Terry): oltre l’arcobaleno nel Mago di Oz (Victor Fleming, 1939).


 


Nel caso peggiore, e quando il mondo parrebbe ridotto a un’unica uscita, sempre ce ne sarebbero due: questa e l’uscita dal mondo. Ma l’uscita dal mondo è parte di esso, come la porta è parte della casa.

José Ortega y Gasset, La ribellione delle masse.

domenica 29 novembre 2009

Bara con nighthawk e cowboy

[Considerazioni a margine di una sfida lanciata da un godardo su FriendFeed: riflessione post visita alla mostra di Palazzo Reale: c'è qualcuno a cui NON piace Hopper ?]








Don't that picture look dusty?

Jesse James (Brad Pitt) nell'
Assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (Andrew Dominik, 2007).




Parlo da ex cinefilo e poi ex cinefago. Per entrambi, senza Hopper non si dà né lo Huston urbano di Città amara né il Malick agreste dei Giorni del cielo (dove la fotografia dell'ormai quasi cieco Almendros si nutre di moltissime altre influenze, da Vermeer a Wyeth). Ognuno parla guardando le storie, i film che si proietta: il che significa che ognuno parla senza ascoltare quel che dice. Proprio stasera, rivedendo un pezzo del would-be Malick ma non disonorevole Jesse James di Dominik, mi sono detto che se proprio si volesse fare un appunto a Hopper, esso muoverebbe da una blanda critica per un eccesso di nitidezza iperrealista, che sembra rassicurare sulla presenza viva dell'essere proprio mentre vorrebbe rappresentarne la sottrazione. Non dico che l'artista avrebbe avuto in pugno l'Unheimlich se si fosse limitato a rendere blurry le sue figure come nelle immagini di questo strano film dove il futuro assassinio di un uomo si rappresenta borgesianamente agli occhi dell'omicida come già compiuto, inesorabile: "His fingers skittered over his ribs to construe the scars where Jesse was twice shot. He manufactured a middle finger that was missing the top two knuckles. He imagined himself at 34. He imagined himself in a coffin. He considered possibilities and everything wonderful that could come true". È come se Hopper fosse scivolato sulla rutilante superfice della tradizione americana senza mai scrivere la propria Isola del tesoro, che infatti firmò uno scozzese ma in cui c'era già tutto Peckinpah, più classico di quel che si pensa, se "classico" significasse qualcosa. Raccontare the ultimate pirate story, sapendo che quel tempo è concluso, e integrare la consapevolezza di questa narrazione post mortem all'interno del quadro stesso.

L'isola del tesoro
è scritto come in soggettiva, da una bara. Più che alla
celebre sequenza di Vampyr, penso a Long John Silver e ai suoi pirati come a un mucchio selvaggio ante litteram o anche alla didascalia finale di Barry Lyndon, assente dal romanzo di Thackeray. E forse ci ho pensato anche perché sono convinto che la grandezza del romanzo di Stevenson risieda nella sua perfetta inadattabilità, nel suo essere un libro fatto esclusivamente di carta, che comincia e finisce in letteratura. Il fallimento dei vari adattamenti mi sembra confermarlo, e persino il Fleming richiede allo spettatore di non aver letto o di accantonare il ricordo del libro e di guardare esclusivamente Wallace Beery. Mentre in effetti ci sono pittori che sembrano aspettare di essere adattati (e risolti, spesso in modo migliore) al cinema, il che non toglie nulla al loro genio ma ai miei occhi li rende l'equivalente pittorico e "alto" di uno Stephen King, scrittore tutt'altro che spregevole, a scanso d'equivoci.




 



Ma d'altra parte, può darsi che Hopp
er abbia avuto l'intuizione della contemporaneità, qualcosa che Stevenson forse non poteva immaginare, ossia la presa del potere non da parte di Luigi XIV, e neppure da parte del "popolo" o del "cittadino", ma dell'ascensore, e che si sia adattato a rappresentare una metafisica d'ascensore, un'attesa dell'ascensore, un'assenza di Dio nell'ascensore.

Strozzature

Dedicato a quelli che scrivono di mafia







sabato 28 novembre 2009

To sleep. Perchance to fish

Individuato l'autore de "La Piovra".

Sarebbe tale Luca Brasi.





 

Chi scrive male pensa male e vive male. (Ma forse guadagna bene).

Sono il Vasco Rossi del ventunesimo secolo.

Vasco Rossi





Quando ero piccolo prima di addormentarmi pensavo a Franz Kafka. Egli, pensavo, perché da bambino quando la terza persona è soggetto si chiama Egli, in realtà faceva qualcosa come il recupero crediti, e allora A) chissà quanto valgono le raccomandate da lui vergate allo scopo di recuperare quei crediti, qualcosa tipo "orribile scarrafone, lei ci deve" e poi interrotta lì, e quel credito che non si recupera mai, B) chissà che belle, da leggere, quelle raccomandate.



Per emulare Marco Travaglio, ho subito un piccolo intervento chirurgico (dalle sicure implicazioni politiche). Prima , però, ha dovuto firmare un foglio scritto non da Franz Kafka, ma almeno da Alessandro Baricco, o addirittura da Moccia o Moggia o come si chiama, sul nome proprio non mi pronuncio. Il foglio diceva:



Gentile Paziente,

il suo consenso informato al processo di cura è il modo trasparente con il quale la Fondazione ritiene di stabilire con lei l'alleanza terapeutica per garantire l'umanizzazione delle cure erogate. Ha ricevuto già dal medico cui lei è stato affidato le info necessarie affinché possa esprimere il suo parere su quanto propostole. Il presente modulo vuole ricordarle che in qualsiasi momento può chiedere al Coordinatore Tecnico di contattare i curanti per ricevere ulteriori informazioni che reputa necessarie al fine di poter sottoscrivere il suo consenso informato valido agli atti medici che le sono stati proposti.

La ringraziamo per la sua collaborazione a partecipare al suo processo di cura.




Prego. In tutti i sensi.


lunedì 16 novembre 2009

Gli interventi dei nostri politici al vertice FAO

Brunetta: "I mangiapane a tradimento".

Bondi: "Accattoni artisti — la fame aguzza l'ingegno".

Carfagna: "I cibi alternativi".

La Russa: "Bombardare gli affamati"

Maroni: "Affamati sì, ma regolari".

Calderoli: "Nutrirsi di radici".

Berlusconi: "Ridurre la durata dell'inedia".

sabato 14 novembre 2009

Donne livide

Per l'efficacissimo commissario Gouette l'omicidio seriale si portava appresso la lettera del corvo così come la nube si porta appresso il temporale, il capitalismo la guerra, il formaggio troppo maturo la larva, il baubau le pulci e l'ambizione smisurata la caduta.

Pierre Siniac, Femmes blafardes, Rivages 1997, p. 134
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lunedì 9 novembre 2009

Il Sessantotto

Samanta che canta, schiena appoggiata ad una parete nei corridoi dell'Università, e mi guarda. Mi fermo un attimo e poi vado avanti, perché dentro quelle aule c'è l'occupazione, e fuori la rivoluzione, qualcuno dice.

Poi le cose cambiano, e quando trovo il tempo per fermarmi Samanta è fidanzata con un certo René. Mi tocca il compito più gradito, che in gergo si chiama ionizzazione. Studio René da lontano, poi mi avvicino, e alla fine lo conosco, fino a quando il pensiero di Samanta svanisce e vivo un idillio insperato con René. Il quale lascia Samanta e così andiamo a vivere insieme. Con noi c'è anche Buddha, l'elemento certamente di spicco, il cui contributo a questa storia resta però ineludibilmente nullo, anche a causa del suo cattolicesimo.



Anni dopo propongo a René di fare visita a  Samanta e introdurla alle delizie dell'amore di gruppo, del quale siamo completamente inesperti, se si eccettuano alcune letture in proposito. Lui aderisce entusiasticamente e ci presentiamo a casa di Samanta. C'è anche il padre di Samanta, che prepara una cena di cui nessuno ricorderà la composizione, ma sul cui carattere egregio nessuno dubita. La cena è dominata dal carisma del padre, che dall'inizio alla fine non fa che sindacare, sentenziare e discernere. D'un tratto io e René ci accorgiamo che in ogni sindacazione, ad ogni sentenza e ad ogni discrezione c'è l'ombra del Sessantotto. Scambio un'occhiata d'intesa con René, e ci prepariamo ad esibire, con la giusta tempistica, alcune delle nostre famose battute fulminanti sul Sessantotto. Il Sessantotto, dal canto suo, non viene mai descritto e analizzato, e probabilmente nemmeno nominato, ma si acquatta come un assassino dietro tutte le sindacazioni e tutte le sentenze.



Alla fine della cena il padre propone di guardare insieme i filmati delle vacanze. Io e René ne siamo assolutamente entusiasti, perché in questo modo riusciremo a sfotterlo e ad avere ragione di lui. Ma dalle prime immagini è subito chiaro che quelle vacanze e quei filmati non hanno niente da condividere con il Sessantotto, e che anzi l'idea stessa, il concetto di Sessantotto è perfettamente alieno e incompatibile con quel tipo se non addirittura con quella tipologia di filmati e di vacanze. 



Dopo i filmati torniamo a casa, del tutto ignari dell'esistenza di Samanta che deve averci abbandonato durante i filmati delle vacanze per rifugiarsi nella sua stanza, anche se questa è soltanto un'ipotesi. Durante il ritorno ci chiediamo se la serata che abbiamo trascorso possegga o meno le caratteristiche per dirsi la più grande serata di tutti i tempi, o almeno una delle più cospicue delle nostre vite. Dopo una meditazione di lunghezza media e di profondità appena passabile concludiamo di no, ma conveniamo sul fatto che sia stata una serata davvero molto piacevole. 

Tre devotchke per tre drughi















August Sander

Tre contadini (1914)

     Sergej Michailovič Prokudin-Gorskij

     Contadine russe (1909)


domenica 8 novembre 2009

Ostequi

— What in fact has been created? An international community. A perfect blueprint for world order. When the sides facing each other suddenly realize that they're looking into a mirror, they'll see that this is the pattern for the future.

— The whole world as the Village?

— That is my hope. What's yours?

— To be the first man on the moon.

Il n° 2 (Leo McKern) spiega al n° 6 (Patrick McGoohan) che dal Villaggio non si evade nella serie televisiva creata da Patrick McGoohan The Prisoner (1967, 2° episodio: “The Chimes of Big Ben”).




"Signore! Aiutami a sopravvivere in mezzo a questo amore mortale." Dmitrij Vrubel', 1989 (rest. 2009).




Letto l'editoriale della Spinelli, bellissimo.


Solo due domande:

1. Quale crollo del muro? Non sarebbe meglio parlare di momentanea flessione?


2. In che senso Stalin dismetteva?





Insomma, io non mi ricordo tanto bene.


 

Dio non esiste, Marx è morto, e io non mi ricordo tanto bene.



Meno Adorno e più contorno!

Meno Marcuse e più Mabuse!

...

...

Meno Horkheimer, più Alzheimer!



Herbert George Wells, The First Men in the Moon, copertina dell'edizione cecoslovacca, 1964. Illustrazioni di Adolf Hoffmeister. Altre immagini qui.

sabato 7 novembre 2009

Z come Zingarelli, zingari, Zorro



Guardando "Blu Notte".

Qualcuno usa "pedagogia" per descrivere l'impegno di Peppino Impastato. Parla come se avesse levigato negli anni il ricordo, cercando una parola-pugno che stringesse lo studio, la politica, il rapporto di quel suo amico con la comunità e con lui stesso. Nelle interviste ricorrono "compagno" - naturalmente - e poi "controinformazione", "militanza", "dibattito", "extraparlamentare".

Queste parole avevano peso e sostanza per Peppino Impastato. Erano cose e progetti, lo spiegavano. E gli sarebbero state cucite tutte insieme addosso per confezionargli l'abito del terrorista. Ora (e non per colpa di Lucarelli) appaiono residuali, frattaglie ideologiche che si perdono nel ridurlo a martire, nel ritagliarlo a sagoma - più compatibile coi tempi - di "ragazzo onesto" che voleva "far trionfare la legge" contro "i criminali mafiosi".



Mi accorgo di avere vissuto abbastanza per vedere tante parole invecchiare e perdere forza, come se gli avessero sfilato le cose di sotto. Ridotte a pensionate balbettanti, ridicole come calzini bianchi sotto i bermuda, sono presenze tetre e imbarazzanti, prive di funzione, improduttive. Le si sopporta solo per farsi raccontare vecchie favole o per rispetto a un morto - e mi sembrano davvero lasciate a seccare là sui binari.



Stanno avanzando giovani parole, pulsanti di nuove cose, forti di realtà più fresche. Le osservo sfilare e ritrovo in qualcuna i tratti dei genitori, ma mescolati con altro sangue, nascosti o esaltati da abiti e ornamenti più vivaci. Ecco "identità", "tradizione", "lingua". E quel "finanza" che ridicolizza "economia", "ranking" che succede a "autorevolezza".

In fondo, sbertucciati e sfigurati, si trascinano i perdenti. Parecchie facce note. Riconosco "comunismo".



giovedì 5 novembre 2009

Il crocimobile

Esitammo qualche secondo prima di prendere in affitto quell'appartamento. Non solo perché carissimo, non solo perché in nero: era quel crocifisso nel corridoio che ci metteva a disagio. Alla fine firmammo il contratto (che non esisteva) ed entrammo: anche perché la proprietaria ci aveva assicurato che lei era di sinistra, come tutta la sua famiglia.

Fummo René ed io a decidere, qualche mese dopo, di risolvere il problema del crocifisso: la situazione in casa si era fatta intollerabile. Buddha, che doveva il suo nome d'arte ad una prodigiosa somiglianza con il Mahatma, si astenne perché cattolico praticante, anche se non credente (era la fidanzata a obbligarlo a praticare). E' un vero peccato che Buddha sia un personaggio marginale in questa storia, perché era di gran lunga il più interessante della triade. Per il lettore curioso dirò che era un vegano che si nutriva solo di gelato da lui stesso composto e di porto sandeman, e quest'ultimo particolare lo rendeva particolarmente inidoneo all'intervento di precisione che si richiedeva per chiudere il contenzioso che quel crocifisso rappresentava.



Io reggevo la scala perché soffrivo di vertigini, fu René a togliere il crocifisso dal muro. Lo portammo con cura sul tavolo di cucina dove avevo preparato coltelli e cacciaviti. Mentre René lo teneva fermo in verticale io riuscii con due colpi incrociati di coltello e cacciavite a estrarre i chiodi delle mani. Stavo per passare al terzo chiodo, quello sulle caviglie, quando René mi fermò e mi indicò la statuetta. Privata dei vincoli sui palmi, si era lanciata in avanti, arrestandosi in una posizione di equilibrio e ponderazione mirabili. Dall'immagine di un uomo crocifisso era scaturito un tuffatore, morbido, plastico, perfetto, precariamente oscillante intorno ad una posizione di equilibrio instabile.

Buddha disse che non esistono oscillazioni attorno ad una posizione di equilibrio instabile, e imputò la configurazione del crocifisso tuffatore ad un miracolo, al quale lui si rifiutava di credere ma che dedicava alla sua fidanzata. René ed io imputammo la sua dichiarazione più al sandeman che al fatto che studiasse ingegneria.

René appese il Tuffatore dove prima stava il Crocifisso. Nei tempi a seguire saliva di tanto in tanto a correggere eventuali deviazioni o librazioni minacciose. Buddha si sposò. Io divenni God.

La proprietaria fu abbandonata dal marito a vantaggio della segretaria.

Back to Our Transilvanian Roots

lunedì 2 novembre 2009

Per soluTori più che abili

Ehi, bella bionda bella, più bella, molto più bella di Rosy Bindi! Che pizza quei pesciolini ke pesciolinano sul tuo desktop mentre ti rifai lo smalto alle ciglia, vero vero? La foto di George senza Eli è troppo demodata? Troppo stufevole lo skatto preso col cellulare di quella torta di fragole e panna comprata da papi nella migliore pasticceria di Secondigliano, con quelle stupide stupide stupide 18 corte candeline già pronte a spegnersi prima ancora ke la tua silhouette si sia fatta la sua passeggiatina nella Casa del Grande Fratello, pietosa guitta ke al bagaglino si pavoneggia, in un book scritto da Emilio Fede, tutto tags & messaggini?

Tranqui, bella bionda bella: ci sono i GOD! Pensa te ke kulo! Afferra il tuo pennarellone nero indelebile, segui le istruzioni qui sotto (giù!) e sullo schermo del tuo pc vedrai apparire, finalmente, il tuo nuovo e definitivo screensaver!




domenica 1 novembre 2009

Morti politicamente scontate, irrevocabilmente corrette

Di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in quest'occasione.

Ignazio La Russa, ministro della Difesa della Repubblica italiana.




Lo sento dire queste parole l'altro ieri sera, al Tg1. E subito mi indigno: ma come si permette di giudicare prima ancora che siano concluse le indagini? La reazione, mi rendo conto (sì, lo so: mo' vieni) solo l'indomani mattina, è scontata ma irrazionale. Uno passa il tempo a blaterare di ucronie e a coltivare giardinetti biforcuti solo per farsi fregare dalla prima successione temporale, confidando nella sua natura crono-logica. Quella dichiarazione non viene dopo la morte di Cucchi, ma prima. Non è una conseguenza dell'omicidio, ma la sua vera causa.



Anni fa io quell'uomo lo incrociai per strada. Giolitti, lo storico gelataio di via degli Uffici di Vicario dove mio padre aveva pianta stabile (e prezzi di favore, sospetto), si trova a dieci metri da Montecitorio. Camminiamo, e a un certo punto ecco che mi trovo davanti Ignazio La Russa, come sempre ilare. Lo guardo negli occhi e istintivamente cambio marciapiede. Non per dichiarare la mia velleitaria opposizione, ma perché ho paura che mi picchi: quell'uomo la violenza ce l'ha stampata in volto.

(En passant, questo sembra essere un marchio lombrosiano di moltissimi ex-AN. Anche se i lombrosiani non mi sono mai piaciuti. L'ho rivisto nella faccia di Giorgia Meloni, in un video in cui il ministro della Gioventù della Repubblica italiana [non] risponde alle domande di una giornalista australiana.)



Prevedo che l'uomo si rassegnerà a imprese ogni giorno più atroci; presto non vi saranno più che guerrieri e banditi; dò loro questo consiglio: l'esecutore di un'impresa atroce immagini d'averla già compiuta, s'imponga un futuro che sia irrevocabile come il passato.

Jorge Luis Borges, Finzioni ("Il giardino dei sentieri che si biforcano"), Einaudi, Torino 1955, p. 82.