domenica 31 maggio 2009

L'ultimo gioco in città

XIX — JELLYFISH





Non mi ricordo di ieri. Oggi pioveva.

Joseph Turner (Robert Redford) ne I tre giorni del Condor (Sydney Pollack, 1975).






Questa casa è un garage Olimpo! Ma in un altro appartamento si impicca quel che quassù (o laggiù?) chiamano la "crémaillère", termine intraducibile, lì (o qui?).

Ma in questa camera con tuffo manca il titolo di un film. Forse lo si nota di più guardandone altri. Dicci come si chiama, vinci tre fiammiferi made in Los Teques (o Marienbad?)












P.S.: Ti ricordiamo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso gli eredi del notaio Altamante Fruzzetti e possono essere consultate qui. Se non ti piace la medusa in piscina, chiedi asilo alla Gorgone nel labirinto.



Attenzione: la partita si è conclusa sull'altro tavolo da gioco domenica 31 maggio alle 22.13. Il film invisibile era Vengeance (Johnnie To, 2009). Quando abbiamo preparato il filmato non lo avevamo neppure visto, sapevamo solo che era un film con Johnny Hallyday. L'abbiamo visto pochi giorni fa.



Il film racconta l'incontro tra Johnny e due dei killers (tanto per restare al bar Hué Ming-wai) della banda di The Mission: il ciccio che pensa solo a magnare (a destra in piscina) e l'eurasiatico silenzioso e vaiolato (quello che si becca il fiammifero nella sigaretta), due tra le meglio facce da poker di tutta la storia del cinema (non che il cinema abbia una storia, perlatro). Johnny ha un problema. Prima si chiamava Frank Costello e faceva il samurai. Poi si beccò una bullet nella head, e da allora si ritrova con letteralmente con una spada di Damocle sulla testa, come Lara Croft in Tomb Raider 2 o 3, non ricordiamo. Ora si chiama Francis Costello, e sa che prima o poi non ricorderà più nulla, e allora calerà la notte e lui dormirà in silenzio, e nel sonno si metterà in posizione di tiro. Dimenticando persino perché vuole vendicarsi, e di chi. E poi nei film di To piove sempre. Perché a To piace da matti mostrare strade piene di ombrelli. Esergo di GOD. Allora si segna tutto, come in Memento. Sulla pistola, traccia con il pennarello indelebile (quello che uso per scrivere i titoli dei film sui dvd) il nome di George Fung. Ma se Fung non indossa sempre lo stesso cappotto, lui non lo riconosce. Forse. Forse basta una faccina autoadesiva, come con The Comedian o nei messaggini predefiniti. Esergo su ealcinemavaccitu. Il vincitore è il solito ignoto. Gli abbiamo appena dedicato un omaggio nella nostra pagina di facciabucio.

Omaggio ad afasol, vincitore del quiz domenicale. Non riesco quasi mai a fregarlo. La musica di "Election" 1 e 2, regia di Johnnie To, l'angelo. Le immagini non c'entrano un vermicello secco.










La prossima sfida si terrà domenica 7 maggio. Segnatevelo sulla pistola.



L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.

GRADUATORIA

afasol: 14 fiammiferi made in Hong Kong, France.

arcomanno : 11 fiammiferi made in Hong Kong, France.

bianca: 3 fiammiferi made in Hong Kong, France.

YagaBaba: 3 fiammiferi made in Hong Kong, France.

gegio: 3 fiammiferi made in Hong Kong, France.

maxeramax:
fiammiferi made in Hong Kong, France.

sabato 30 maggio 2009

La sparrocchiata del giorno

Del Presepe la gente ricorda soprattutto l'asino e il bue.

Don Carlo Gnocchi.

La zombata del giorno

When there's no more room in Hell, possiamo sempre andare in vacanza.

giovedì 28 maggio 2009

L'educazione sentimentale

Berlusconi: Iniziamo male l'anno!

Dell'Utri: Perché male?

B: Perché dovevano venire due di "Drive In" che ci hanno fatto il bidone! E anche Craxi è fuori dalla grazia di Dio!

D: Ah! Ma che te ne frega di "Drive In"?

B: Che me ne frega? Poi finisce che non scopiamo più! Se non comincia così l'anno, non si scopa più!

D: Va bene, insomma, che vada a scopare in un altro posto!

B: Senti, dice Fedele che devi sacrificarti (...). Devi venire qui!

D: No, figurati!

B: Purché le tette siano tette! Truccate soprattutto bene le tette! (...) Grazie, ciao Marcellino!

D: Un abbraccio, anche a Veronica. Ciao!

B: Anche a te e tua moglie, ciao!

(...)



(telefonata intercettata dalla Guardia di Finanza sul telefono di Marcello Dell'Utri a colloquio con Berlusconi nella sua casa ad Arcore, dove il Cavaliere festeggia il Capodanno con Confalonieri e l'allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, ore 20.52 del 31 dicembre 1986).

da brionews.com









lunedì 25 maggio 2009

L'insieme di Humbert

Esiste un insieme di libri illustrati per i quali

la somma delle età del lettore maschio e della protagonista femminile

è una costante




Images courtesy by Artemisia Gentileschi










Via Garibaldi

08.05

Ultimo vizio sadico di fija7: farmi comprare al supermercato roba che poi non mangia mai. E allora me la devo magna' io. Tipo il succo di pompelmo. Che sarebbe pure incompatibile con le statine. Ce sta scritto, nelle istruzioni: con le statine puoi mangiare e bere tutto. Tranne il pompelmo. Il pompelmo no, il panino sì. Roba da cotto interrotto. E mo' mi ritrovo un litro di pompelmo nel frigorifero. E che devo fa', darlo ar sorcio? Me lo bevo, no?

Benjamin Button non sei nessuno. Sto prendendo le abitudini alimentari di una bambina di 7 anni. Solo oggi mi sono accorto che da tre giorni, quando taglio in due un muffin, lo metto nel tostapane e poi ci spalmo sopra la nutella, metà muffin me lo magno io. Er muffin. Caa nutella.

Oggi fija7 va a scuola fino alle sei del pomeriggio. Corso di musica (non ho capito in cosa consista, ma vabbe'). Mi dico alè. Oggi posso lavorare. E forse, ma pensa un po' te, farmi pure un po' di stracazzi miei. Poi apro il frigo. È vuoto. Mi toccano le grandi spese al supermercato.

Vabbe', vado: devo preparare le due merendine da mettere nella cartella. Due, perché il lunedì sta a scuola fino alle sei.



La scena è sempre quella, fai merenda con Girella:







Aò, embe'? 'Ndo' vai? Guarda che 'sto film nun è mica finito. È lunga, via Garibaldi, e sale, sale. Fin'ar Gianicolo. Roba da mozzafiato, tutta 'na saspenz. Lo so che non resisti, clicca sur "continua a legge'", dai, dai, che alla fine forse ci schizza pure un litro di sangue.





08.23

Penultima magliettina pulita a maniche lunghe di figlia7. Pulita pulita, tirata fuori dall'armadio dieci minuti fa. Dieci minuti dopo, è piena di chiazze marroni. 'A Nutella. Der muffin.

Ma perché le fanno, 'ste magliette bianche.










08.40

Olé, è andata, incazzata perché il campanello della scuola s'è messo a suonare un secondo prima che entrasse, a lei non piace arrivare in ritardo, tutto il contrario di me alla sua età.

Nell'armadio c'era solo la maglietta rosa. Dice che non va, perché ha il collo stretto, dice che oggi c'è piscina, e in piscina sono vietate le magliette col collo stretto (?). E vabbe', taa metti 'o stesso, che te devo di', patatina. 'N'artra vorta ce pensi du' vorte, a sporca' 'a maglietta bianca caa nutella der muffin. Eh. O no?

C'è quello che se crede karkraus, quello che se crede vitghenstain, pure quella che se crede 'a contessa Serbelloni Mazzanti vien dar Mare, pure quello che se crede Voltèr e trova pure il tempo de legge' tutti i giorni "L'osservatore romano", che parla sempre di quell'artro, de là, dietro Prato, no de qua, a Via Garibaldi.

Mica pizza e fichi, come direbbe mi' cuggino Armando.

Io Leo sulle strisce.

Ar massimo.

Leo.







'Nchessenso?!



08.42.

Che fra venti minuti arriva pure la colf romena, tre ore a la settimana se mette a gira' pe' casa senza fancazzo. E già celoso che oggi me mena perché ho lasciato du' piatti sporchi ner lavandino.

Io li odio, i romeni.




09.37.

Eccola, la romena.

Dice il ferro da stiro. S'è rotto, du' settimane fa. Io un ferro da stiro manco so che è. L'ho guardato per un'ora, lei intanto parlava del vapore. Dice nun evapora. Dice è acceso, ma non è caldo. Lo tocco. È vero. È freddo. Lo guardo. If a look can kill, il ferro da stiro sarebbe un uomo morto. Infatti è morto. Un ferro da stiro zombi. Dice che ne devo comprare uno nuovo. La guardo. Più o meno come fosse un ferro da stiro. Io, lo devo compra'?! E vabbe'. Dice che lo devo comprare da Darty, solo da Darty, perché se si rompe, a Darty… "Sì, lo soooo. A Darty c'è il contrat confiance." Che te credi, che so' n'Alfa Beta? Aò, io c'ho pure la patente, mica pizza e fichi.

Poi due giorni fa la chiamo, sul cellulare (romena moderna, technoromena, Dracula 2009 col cellulare). Becco la segreteria. Gli lascio un messaggio: Senti, per favore, fai la brava, compralo te, 'sto ferro da stiro, eh? Poi mi dici quanto t'è costato, e io toopago. Se non lo trovi non importa, tanto nun ce sta niente o quasi niente da stira', lunedì prossimo.

Eccola llà.

Dice "C'è un problema": "Y a problèm", se te piace la versione originale. Ahia. Dice non ho comprato il ferro da stiro. Dice ho sentito il messaggio solo ieri sera. Ho capito, ma tanto te l'avevo detto che chissenefrega del tuo cazzo di ferro da stiro, no? Lo comprerai un'altra volta e passa 'a paura, non siamo mica da le parti tua, in Transilvania, mica che se non compri subito il ferro da stiro ti trasmagno le budella.

Dice: "Y a problèm". Aridaje. Dice posso comprare il ferro da stiro alla fine del mese? Dice non ho soldi in banca. Dice mio marito è partito ieri sera in Romania. Gli dico e vabbe', beccate 'sti soldi e se c'è un resto me lo ridai. Poi mi fermo, guardo un angolo del soffitto, tipo Leo prima di dire "'Nchessenso?", e poi gli chiedo "Però scusa, che c'entra che tuo marito è partito in Romania?". Lei dice una cosa tipo "Be'", guardandomi come se volesse dirmi: "Ma allora sei proprio de coccio". Allora, gli dico: "Ner senso che t'ha lasciato?". Lei dice no no, poi inizia a spiegare qualcosa che non ho capito perché mentre parlava mi sono rimesso a guardare quell'angolo del soffitto. Qualcosa tipo che il marito è andato a Bucarest per prendere una specializzazione in stupro. Qualcosa del genere, oppure un corso accelerato di strangolamento poliglottide, tipo Otello de la Juventus.

Poi comincia a parlare di Darty. Dice che siccome qui oggi c'è poco da puli' (e io penso "ma come sarebbe, poco da puli'? Ma nee vedi, 'e macchie de nutella dappertutto, noo vedi quell'angolo der soffitto?"), ci va oggi. Dice che apre alle dieci. Io dico naaaah, oggi nun serve, er ferro da stiro. Dice che se ci va la settimana prossima, però qui arriva in ritardo. Perché qui lei arriva alle nove. Darty invece apre alle dieci. Ho capito. Ho capito, 'nchessenso. Che vuoi andarci nelle ore di lavoro, mica prima o dopo. Mica scema, la romena. E vabbe', je dico, allora vacce mo'. Dice: no, mo' no. Mo' so' le nove e mezza. Darty apre solo alle dieci. Sì, vabbe', ho capito, ora ho capito assolutamente tutto, come direbbe l'anonimo. Vacce alle dieci, vacce quanno te pare, vacce pure alle undici, vacce, affanculo, te e il tuo ferro da stiro a vapore Alfa Beta.

Poi lei si siede, e aspetta che gli faccio un caffè. Io aspetto che esca il caffè, e mentre se ne sta seduta sul mio bel divano bianco svedese economico pieno di macchie di Nutella, io lavo i piatti. Altrimenti me mena. Mena, la romena. E dice sempre che il mio caffè è troppo forte, per lei.

Ah, il mio caffè è troppo forte, eh? Nun te piace, il mio caffè?

Ma io la prossima volta te lo correggo, il tuo caffè. Te faccio un bel caffè corretto ar Sindona, ar Pisciotta.

Ma io ti denuncio, sporca romena, vado al commissariato e ti denuncio, dico "y a problèm", e ti faccio rispedire a calci in culo a Bucarest, mortacci vostri, te, tuo marito e il ferro da stiro.










Per i fanatici che so' rimasti a guardasse tutti i titoli di coda, c'è pure la scena extra bonus.



10.25.

Vado in cucina. Vedo la tazza di caffè. Non l'ha toccata. Forse non si fida. Ora è in salone, fa finta di passare l'aspirapolvere, in realtà lo fa solo funzionare, mi illude col rumore. Gira a vuoto, l'aspirapolvere. Vuole rompere anche quello, lo so.

Così finisce che il caffè me lo devo bere io. Carachiri. Se pucu mi dà niente.

Cazzo, è vero che è troppo forte.

Mo' lo correggo.

Ce metto un dito di succo di pompelmo.

domenica 24 maggio 2009

Family day

Berlusconi ha voluto ricordare, a fronte delle recenti polemiche, come abbia sempre sostenuto i valori sacri della famiglia avendo anche partecipato al "Family day". Ha aggiunto che la sua partecipazione è stata fatta con gioia, con Letizia.

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XVIII — TUTTI I GUSTAFSSON SONO GUSTAFSSON




"Nella macedonia sì. Ok nella panna, ok anche sulla torta. Ok nei fields, sempre. NO! NELLA CARBONARA NO!"

Per due gocce di aceto balsamico: Che film abbiamo trasmesso?



ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA DOMENICA 24 MAGGIO ALLE 12.45. IL FILM TRASMESSO ERA "IL POSTO DELLE FRAGOLE" (INGMAR BERGMAN, 1957). COMPLIMENTI AL RAPIDO E TRANQUILLO "MAXERAMAX" DI PAURA.

LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 31 MAGGIO.



L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.

GRADUATORIA



afasol: 11 gocce d'aceto balsamico.

arcomanno : 11 gocce d'aceto balsamico.

bianca: 3 gocce d'aceto balsamico.

YagaBaba: 3 gocce d'aceto balsamico.

gegio: 3 gocce d'aceto balsamico.

maxeramax: 2
gocce d'aceto balsamico

I padri sono un racconto

Il volto di lei.

Il volto dell’altra.

Il volto di lei.

Il volto dell’altra.

Il volto di lei.

Il volto dell’altra.

“Datemi ducento milioni di ’omparse!!!”

Urlo di uno spettatore toscano durante la proiezione di Persona (Ingmar Bergman, 1966) in un cinema di Firenze. Mio padre era presente in sala, e così me l’ha sempre raccontata.



Tra le sue scartoffie trovai questa bizzarra anamnesi, scritta su un solo lato di un foglio di carta velina con strana cura (pochissime cancellature, grafia chiarissima ma leggera, suppongo per non bucare la carta — ma perché non aver usato una materia più resistente?), che mi sembra una piccola perla di letteratura.




Il primo sintomo comparve all'età di 9-10 anni e fu un caso isolato e, al momento, inesplicabile. Mi trovavo in classe — frequentavo la V elementare — e la maestra mi affidò la scolaresca durante una sua assenza. Si doveva risolvere un problema sulla piramide. Mi accorsi che un mio compagno tentava di farsi fare il disegno del solido dal vicino di banco (ricordo pure i nomi). Quando tornò la maestra, tentai di dire, di riferirle, la scorrettezza che si era verificata in sua assenza: mi alzai dal banco e presso la cattedra cominciai a gesticolare senza riuscire a pronunciare parola sensata: hum, hem e simili suoni tipici di chi «non trova le parole». Le parole infatti non le trovavo. Era più l'imbarazzo che il panico. Ma alla fine feci come i muti: mi portai "al banco degli imputati" e mostrai i colpevoli rifacendo la scena e, finalmente, ritrovando, faticosamente, le parole. Sembrava un fatto senza importanza. Un anno o due dopo — all'età di 11-12 anni — ebbi una convulsione nel sonno con conati di vomito. Il mio medico curante, anche se sospettò qualcosa, diagnosticò un'indigestione causata dal fritto pesce mangiato la sera precedente. È da quell'epoca che non mangio più pesce fritto.



Giuro che finisce così. Come se il vero scopo del testo non fosse quello di tracciare le origini di una malattia del soggetto, ma il suo rapporto col pesce fritto.











Altri pesci, altri padri. Non so perché, ora questo testo mi fa pensare a quest'altro. Sarà che per un anno intero mio padre si ritrovò con un enorme brufolo sul labbro sinistro, e allora si lasciò crescere un baffo, per nasconderlo. Un baffo solo. E anni dopo capitai su un'immagine e capii che i padri sono un racconto, come lui stesso mi scrisse all'inizio di una lunga lettera. Sì, sono un racconto. Ma un racconto surrealista.

venerdì 22 maggio 2009

Il diplodoco stanco

Dopo quarant’anni di Australia, Cozzani torna a Spezia.

Con il cuore gonfio scopre che c'è ancora il baretto in Piazza Brin

E i suoi amici sono seduti al solito tavolo.

Si avvicina e siede un po’ discosto. I suoi amici continuano a giocare a carte.

Passa mezz’ora. Un’ora.

Alla fine Vergassola, senza staccare gli occhi dalle carte, fa:

“Aloa, Cosàn, te parti?"


Apologo spezzino.



http://www.iloveagrigento.it/wp-content/uploads/2008/06/lo-scheletrone-di-palmaria-a-porto-venere.jpg



È proprio accanto allo Scheletrone dell’Isola Palmaria che ho passato l’estate più bella della mia vita, e quindi il periodo più bello della mia vita, e cioè la fase storica più bella di tutti i tempi. Date uno sguardo alla foto dello scheletrone: accanto, sulla destra c’è una casa di sasso: lì.

È anche giunto il momento di dirla tutta: quella è l’isola di Altamante Fruzzetti. O se non è lei, è lì vicino. Ma non ho un ricordo distinto di Altamante. L’umanità che si muoveva sotto lo scheletrone (e non stuzzicatemi perché posso uscire i nomi e i cognomi, e non è detto che non lo faccia prima della fine del pezzo, o dopo) era emblematica, ma di cosa non so. Gente che viveva in rimesse di lamiera cucinando e offrendo a chiunque improbabili zuppe di pesce che i benpensanti trattavano come organismi decomposti. Gente che parlava (poco) ma soprattutto guardava come se fossero loro i padroni dell’Isola. Rettifico: i Comandanti dell’Isola. Forse Altamante era uno di loro, ma se volete saperlo, ho i miei dubbi: fondati, fondatissimi.

Potrei intrattenervi tutta la notte, ma lasciamo perdere, non solo non capireste nulla, ma soprattutto non capireste che non capite nulla, esattamente come ora non capite che non capireste nulla. E poi se ci andate ora, alla Palmaria, non trovate niente, nemmeno più lo scheletrone.



La prima cosa che mi insegnarono i grandi era che lo scheletrone fa schifo. Peggio: è uno scandalo, una vergogna. La notte mi svegliavo, ma non sudato, tranquillo, e dalla mia stanza sentivo il mare, ovviamente, e dalla finestra vedevo ed ero guardato da cinque o sei dei venti o trenta occhi dello scheletrone. In uno di quegli occhi spuntavano delle scarpe da basket, e io, malato dell’amore non dico vero, ma certamente il più vero di tutti i tempi, ossia l’amore delle medie, fantasticavo di saccopelisti tedeschi che lì dentro, in quell’isante preciso, becciavano. E cercavo di ipnotizzarlo, lo scheletrone, per obbligarlo a ospitarmi, il giorno che sarei andato lì a becciare.



Per becciare c’era ovviamente una tecnica molto precisa, ma era segretissima e non si poteva chiedere. Occorreva aspettare che un amico iniziato te la spiegasse. Ma siccome tu dovevi comunque fingere di conoscerla, quella tecnica precisa, nessun iniziato avrebbe mai avvertito la necessità di spiegartela. Il paradosso bloccava la tua esistenza come una ganascia dei vigili (che non esistono) e se qualcosa poteva salvarti era la stellata della Palmaria sopra lo scheletrone. Lo scheletrone si appoggiava alla roccia come un diplodoco stanco, che non ce la fa più, e di notte i suoi occhi formavano una necropoli come Pantalica, ma io non lo sapevo.



Lo scheletrone era una griglia abortita, la sconfitta della geometria contro la vita, qualcosa che avrebbe aperto gli occhi anche a Oscar Amalfitano.

Da Portovenere tutti lo vedevano e i genitori lo indicavano ai figli: vedi, quello è lo scheletrone e tu devi sapere che fa schifo, anzi è una vergogna, uno scandalo. I figli fissavano lo scheletrone e deglutivano, assimilavano.

Ora quei figli non potranno portare i loro figli a Portovenere a esperire l’idea platonica dello schifo, la vergogna quintessenziale, lo Ur-scandalo. Ora, e se conoscete Spezia non potete negarlo, i figli indicano ai loro figli il ground zero dello scheletrone, e dicono loro che c’era lo scheletrone, glielo descrivono, spiegano che faceva schifo, ma che era meglio quando c'era lui: molto meglio no, appena un po’ meglio.



Io da tutto questo prendo le distanze. Personalmente, io non so becciare.

la frase del giorno

Era una popolazione talmente povera che sulle medicine c' era scritto : " Avvertenze, prendere una pasticca a digiuno dopo i pasti"

giovedì 21 maggio 2009

Prima o poi lo abbiamo detto tutti: E se mettessimo su un giornale?

Oggi Stanley Kubrick è morto e io non mi sento tanto bene.

In realtà è morto più di dieci anni fa, ma l'errore mi ispira un progetto editoriale molto redditizio. Mettiamo su un giornale che porti la data giusta, ma presentiamo notizie del passato, date presentate e commentate come se il fatto fosse contemporaneo. Qualche esempio:

— CORRE PER CHILOMETRI E MUORE ALLA META — "Da Maratona ad Atene sola andata" — Il medico della delegazione persiana: "tracce sospette all'antidoping": ed è subito polemica. — La madre di Fidippide in lacrime: "Me l'hanno rovinato!" — Il record in discussione alla commissione Guinness: mancava il notaio — Foto esclusive.

— LA FOLLA PREMIA UN LADRO DI POLLI E METTE IN CROCE UN POVERO CRISTO! — Un suo amico dichiara: "Non l'ho mai visto, non so chi sia, sono solo un onesto lavoratore" — La madre di Gesù affranta dal dolore accusa: "Era tanto un bravo ragazzo, guardate come me l'hanno conciato" — Infuria la polemica: la crocifissione, una pedagogia antiquata? — Foto shock!

— GOSSIP DEL GIORNO: Enrico IV e Matilde di Canossa : Amore sincero o invenzione giornalistica? — Il nostro reporter sotto le lenzuola!

— IN CULTURA: Il nuovo libro di Stevenson divide la critica — Jekyll e Hyde: una metafora della condizione umana? — Ma la comunità scientifica mette all'indice il romanzo: "Del tutto inverosimile, basato su presupposti infondati".

— La ditta Hermes presenta la sella del futuro: cuoio ricoperto di strass, briglie di pizzo, design anticonformista: il cavallo è femmina. Divampa la polemica sui limiti di velocità.



Eccetera. In fondo pare che in Argentina, ogni volta che trasmettono Gardel, la gente dica: "canta meglio ogni giorno che passa" o addirittura, variante ancor più didascalica: "Oggi Gardel canta meglio di ieri".

Il titolo del giornale: "L'ETERNO RITORNO": troppo scontato? Magari con un sottotitolo sobrio, tipo "Quotidiano d'informazione e d'attualità". Ma se preferite continuare a sorbirvi le dichiarazioni di La Russa e Maroni, liberi voi.







martedì 19 maggio 2009

Prove etniche di trasmissione

Oggi la Lega presenterà in Parlamento una proposta di riforma della caccia che consentirà di sparare a specie migratorie protette.

Solo a quelle animali, per ora.

lunedì 18 maggio 2009

Notizie della necropoli

Quanto a me, cara signora, voi sapete bene che lo stato progressivo della società non mi riguarda per niente. Il mio stato, se non retrogrado, è eminentemente stazionario.

Giacomo Leopardi, lettera a Charlotte Bonaparte, maggio 1833.



Ma prima o poi andranno a cacare!

Un giorno o l'altro li uccido.

Mimmo (Domenico detto "Mimmo" Scicchitano) in Necropolis (Franco Brocani, 1970).

domenica 17 maggio 2009

Disagio

Rinaldini strattonato e buttato giù dal palco di Torino. Brutta immagine. Quando un leader di un sindacato rappresentativo come lo è la Fiom subisce tale trattamento c'è da preoccuparsi. Significa che il sindacato non riesce più a svolgere la funzione di ammortizzatore delle tensioni sociali. Quindi, pericolo di violenze, di terrorismo con relativa strategia della tensione. Autori del pessimo gesto sarebbero gli iscritti, o i simpatizzanti, dei cobas, i sindacati di base che hanno trovato linfa vitale sia nell' acquiescenza di sindacati come la cisl e la uil, sia nell' isolamento subito dalla cgil per via della miope azione governativa. Ma, ferma restando l' assoluta condanna della violenza subita da Rinaldini, occorre riflettere sulle cause che hanno provocato l' esecrabile episodio. In genere, nelle proteste, qualunque forma esse assumano, ci sono motivi un po' più generali, come ad esempio le rivendicazioni contrattuali, e motivi più particolari, se per particolare intendiamo il timore di perdere il posto di lavoro. Una paura che nel caso dell' affaire-Marchionne sembra più che giustificata. La Fiat, indebitata fino all' osso, ha conquistato la Chrysler. In verità non è nemmeno vero questo. Per ora ha il 20% e la maggioranza azionaria è dei sindacati ( è la rivincita di Marx nel paese emblema del capitalismo?). Per questo 20% non ha sborsato nemmeno un euro. Darà tecnologia. Poi, "conquistata" la Chrysler, vuole conquistare la Opel, in grande difficoltà. Poiché la Opel è nelle situazioni in cui sta, anche qui la Fiat non sborserebbe un euro. La Merkel medita e meditano i sindacati tedeschi che non sono molto convinti, anche perché la opel produce macchine, tipo l' Agila, che sono concorrenti con quelle della Fiat. E allora, che senso industriale avrebbe la fusione? I sindacati italiani, a loro volta, chiedono rassicurazioni che ogni tipo di aggregazione non comporti un taglio occupazionale. Scaiola sventola la letterina che ha scritto alla Fiat per ricordare a Marchionne che gli incentivi per la rottamazione sono stati concessi per la salvaguardia dell' occupazione. I sindacati chiedono chiarimenti su tutto il piano, ma Marchionne dice che è inutile farlo adesso quando ancora non si conoscono gli esiti dell' affaire Opel. Morale : se l' incorporazione della opel avverrà, allora Marchionne chiederà il conto allo Stato Italiano, cioè ai contribuenti, pena un taglio occupazionale. Sia chiaro, comunque, che tutta l' operazione crea valore aggiunto per le varie holding della fiat, non per l' industria italiana- 

Attenuanti genetiche

Se ti sembra un'attenuante

Unhcr, La Russa "dispiaciuto"

"Ma ho detto quello che penso"

(da Republica.it)

Quando c'era quella cosa che chiamavano progresso

Egli crede, e non immagina neppure che un uomo moderno possa pensare diversamente, che un oggetto il quale ubbidisca perfettamente allo scopo cui è destinato non può non essere bello. Il primo dei suoi articoli di fede nella costruzione delle sue macchine per scrivere è dunque questo: l'armonia del prodotto in vista del suo fine, e l'armonia di ciò che a quel prodotto s'ispira e che quel prodotto serve, infine l'armonia reciproca di tutti gli elementi che costituiscono il ciclo della produzione.

Non è vero che le macchine siano brutte in se stesse. Esse saranno belle, bellissime se l'architetto che ne immaginerà la linea s'ispirerà agli stessi criteri di armonia cui ubbidisce un architetto di genio nel disegnare il progetto di una chiesa. Così, a forza di pretendere rigore e armonia funzionali dai suoi disegnatori, egli è riuscito a costruire una macchina per scrivere, la Lexicon 80, che ora è esposta nel Museo d'Arte Moderna di New York, come uno dei prodotti significativi della civiltà industriale di oggi.

Sandro De Feo, L'uomo che cerca l'anima della macchina, "L'Europeo", VIII, 24 (346), 7 giugno 1952, p. 20.





L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XVII — LA SPRITZATURA





Troverò un cinema, da qualche parte in una foresta di tigli. Rimarrò là, giorno e notte, e proietterò i miei film preferiti, qualsiasi cosa succeda.

E sarò l’uomo più felice del mondo.

Quentin Tarantino intervistato da Samuel Blumenfeld per il settimanale francese “Le Monde 2”, n° 172, 2-8 giugno 2007, p. 31.





Solito bar, sguardo in campo Santa Margarita.

Oscar Amalfitano dice: "Sai cosa? Mi piacerebbe girare un film a Venezia come fosse Londra. Sono sicuro che sarebbe un bel film, roba che spacca".

Annuisco: "Sì, sarebbe un altro, splendido film impossibile. L'anello mancante tra Livorno e Hue".



Questo dialogo è incomprensibile, almeno per noi. Spiegacene il senso nascosto, ammesso e non concesso che ve ne sia uno, e vinci quattro olive estratte da altrettanti spritz, stuzzicadenti compresi.



P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso gli eredi del notaio Altamante Fruzzetti e possono essere consultate qui. Se non ti piace l'Aperol prendi un Campari.



ATTENZIONE: LA PARTITA SI È CONCLUSA SULL'ALTRO TAVOLO, MERCOLEDÌ 20 MAGGIO ALLE 11.04. PARE CHE SENZA SAPERLO, ASSIEME AD AMALFITANO AVEVAMO COMPOSTO UNA SCIARADA. MA NON SAPENDO COSA DICEVAMO, NON SAPEVAMO COME RISOLVERLA. CONTINUIAMO A NON CAPIRE, MA CI ADEGUIAMO ALLA RISPOSTA DI bogenscHUÉ: Amalfitano pensa a un film che fa vedere un posto e invece è un altro. Un film impossibile. Allora lo zombi, pensando a Venezia e a Londra, incrocia la sciarada filmica e riannoda i fili del cinematografo da Visconti a Kubrick, da Le notti bianche (una venezia livornese, o una livorno veneziana) a Full Metal Jacket (una Hue londinese o una Londra Huesiana).

Ovviamente non ha alcun senso. Ma nello spritz non ci sono olive, dunque potrebbe andare
.

INFATTI LE OLIVE SONO SCOMPARSE. FORSE NON CI SONO MAI STATE.


LA PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 24 MAGGIO.



L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ.

GRADUATORIA



afasol: 11 olive.

arcomanno : 11 olive.

bianca: 3 olive.

YagaBaba: 3 olive.

gegio: 3 olive.

sabato 16 maggio 2009

8 secondi, ovvero Stella, stellina

Ora preferisco raccontar delle storielle.

Ne racconterò di tali che quelli torneranno apposta, per accopparmi, dai quattro venti.

Allora la sarà finita e ne sarò arcicontento.


Louis-Ferdinand Céline, Morte a credito, 1936.




I
n tutta Italia c'era un'unica persona convinta che il Governo Prodi avrebbe tenuto un'intera legislatura: Prodi.

Io che il Governo sarebbe caduto l'ho capito l'indomani delle elezioni, quando qualcuno mi svegliò con una telefonata, per comunicarmi che "avevamo vinto": grazie agli elettori residenti all'estero. Un ennesimo, inutile risveglio. Per avere notizie di
quelli che vivono altrove, e che vogliono dirci che c'è qualcosa di nuovo oggi nell'AIRE.

E glielo dissero subito, e glielo ripetevano, almeno due volte alla settimana. Lui non ascoltava mai. Voltava le spalle e tornava a "lavorare", perché Prodi è un vero lavoratore, e ha il senso del dovere e dello Stato, non può perder tempo a sentire stupide battute.

Dimenticò di segnarsi su un pizzino "ricordati che devi morire", e allora non ci restò che piangere, altro che battute da bagaglino o da God. Prodi aveva un solo compito da svolgere, durante la sua seconda, inutile presenza a Palazzo Chigi: cadere bene. Saper celebrare il seppuku al momento giusto, essere il Mishima della politica italiana. Oggi, ne sono quasi sicuro, ci troveremmo in un'altra realtà. Bastava poco: impuntarsi su un punto del programma elettorale, un punto magari minore ma popolare, sapendo di avere probabilmente con sé la maggioranza del Paese, ma certamente la minoranza nelle Camere. I Dico, per dirne uno.

Ma Prodi non è Mishima, è uno che passa il tempo a lavorare: davanti alle finestre aperte, come Pinelli. E il Governo fu defenestrato perché Prodi si era dimenticato di fare una telefonata, no, meglio, una telefonatina (o magari addirittura il messaggino predefinito "doveseicosafai?") a un tappetto di Ceppalonia. (Ricordo ancora, quel giorno madrileno in cui lessi la composizione del Governo, ed ero furioso. Tra le altre cose che urlai, lasciando i churros a poltrire nella cioccolata: pur ammettendo che purtroppo, considerati i numeri della maggioranza, con la sua pugnetta di voti quel "giornalista" è determinante, sì, insomma, capisco tutto, ma addirittura il Ministero della Giustizia?!)

Poi un giorno Clemente Mastella decise di ritirare l'appoggio esterno al Governo. E disse che il suo gesto non lo avrebbe spiegato alle Camere, ma in sede più appropriata. Ossia alla televisione.

E così il Governo cadde a "Porta a Porta". Cinque milioni di italiani e i destini del Paese appesi alle sue labbra. E lui parla, parla. Della moglie. Del figlio. Della suocera. Del cognato. Delle zie. Della mamma. Dei
cugini di secondo grado.



Quella sera, prima di andare a dormire, spedii una ninnananna a un cugino di primo grado:



Mastella mastellina

la notte si avvicina:

la fiamma tricolore balla,

La Russa è nella stalla.

La Russa e Schifani,

Calderoli e Tajani,

Berlusconi cogl'italiani,

la mamma coi bambini.

Ognuno ha la sua mamma

e tutti fan la nanna.



E appena prima avevo scritto a un piccolo giornale locale, con il quale collaboravo sporadicamente. Tanto poco importa la maggiore o minore notorietà delle testate, ormai piccoli e grandi giornali sono tutti altrettante macchine celibi, che come in una
greve notte d’estate del 1924, ballano al suono di Valencia o di Tea for Two, passeggiano, fanno il bagno nella piscina, "come villeggianti sistemati da molti giorni a Los Teques o a Marienbad". A giocare con qualche fiammifero, in un'autorappresentazione rotatoria, in una recita senza spettatori, a parte qualche naufrago casuale.



E siccome non sapevo quale battuta improvvisare, scelsi di fare come l’attore brechtiano, che "dovrebbe mostrare piuttosto cosa è la verità: citare".



Nella vecchia Inghilterra la punizione per un traditore era la decapitazione. Dopo l’esecuzione tiravano su la testa tagliata per i capelli: non, come molti pensano, per farla vedere alla gente, ma affinché la testa vedesse la gente, perché la coscienza dura altri 8 secondi.

L’agente speciale dell’FBI Alexander Mahone (William Fichtner) al collega e traditore Wheeler (Jason Davis) nella serie televisiva creata da Paul Scheuring Prison Break (stagione II, episodio 20: “Panama”, 2007).



Lo pubblicarono. Ma in una pagina che parlava della Borsa. I mezzi di comunicazione tutti, blog compresi, e la classe politica tutta, almeno quella che siede ora sulle poltrone delle Camere e di "Porta a Porta", avevano deciso che il Governo non lo aveva fatto cadere Mastella. Lo avevano fatto cadere "le sinistre". Il problema dell'Italia era la sinistra. E ora la nostra gloriosa democrazia era pronta, finalmente, a compiere il grande passo, il salto in avanti verso la maturità definitiva: liberarsi in saecula saeculorum della sinistra, cancellarla forever and ever and ever dal panorama della politica italiana. Come nelle fotografie della dittatura sovietica.

E ora che ci siamo riusciti, ci sentiamo tutti molto meglio, e guardiamo al futuro con fiducia e speranza, sorridenti viaggiatori nella lunga, interminabile notte del grande e strano spazioazzurro.



MONSIEUR DUCON: Che peccato. Nutrivo molte speranze, in quel ragazzo.

MADAME LABEUVE: Non potevamo mica sapere che era pazzo.

MONSIEUR DUCON: Ha vissuto in un ambiente marcio. Il suo talento non lo ha salvato. La buona sorte è venuta troppo tardi, per lui.

MADAME LABEUVE: Fortuna che ha potuto invocare la follia, al processo.

MONSIEUR DUCON: Fortuna soprattutto che possiamo continuare lo spettacolo senza di lui.

Jean-Patrick Manchette, brano della sceneggiatura Mésaventures et décomposition de la compagnie de la danse de mort, scritta nel 1968 e mai girata.





Titoli di coda del film "Too Late Crocodile" con credits, ringraziamenti e buonanotte ai suonatori in una singola playlist youtube.






Chiarimento

" Credo che sua moglie la desideri"


" Impossibile"


" Intendevo al telefono"

venerdì 15 maggio 2009

Partorirà una pantegana

Se non vi piace il mare, se non vi piace la montagna, se non vi piace la città… andate a farvi fottere!

Michel Poiccard (Jean-Paul Belmondo) agli spettatori in Fino all’ultimo respiro (Jean-Luc Godard, 1959).




Cena con figlia7 e sua nonna tedesca, che grazie a Gott mastica un po' d'italiano e a volte prova pure a scriverlo, nelle cartoline tipo "Zaluti ta Pompei!".

A un certo punto sua nonna e io si parla della campagna elettorale in corso (la nonna è preoccupata, una sorta di presentimento oscuro e molto tedesco le fa temere che le cose andranno piuttosto maluccio).



Figlia7: "Ma è bella, questa campagna elettorale? E dov'è?".



Le spieghiamo che non si tratta dello stesso tipo di campagna. Le dico che esiste addirittura, pensa un po' te, la campagna militare, e che anche quella non è in Toscana. Le dico che è tutta una metafora (nonna: "Si tice metafa!").

Lei fa sì sì con la testa, dà l'impressione di aver capito tutto, è una ragazza sveglia, figlia7.



Dice: "Quindi esiste anche la montagna elettorale!".

Ultimo gioco in città

Indizio di oggi



Per fare questo film servirebbero almeno due John Woo

giovedì 14 maggio 2009

¡Que esercizio di autolástima!

Commento di amico di facciabuco a post scatto logic di tre giorni fa (scaduto, non si linka, rischio gastroenterite): eh eh eh prova a comprare "reparto bolscevichi" a fartene dare di più a prezzo da MAXIsupermercato gli hamburger così i 32 rotoli alla fine servirannoalla gastroenterite =)



Passiamo al canale privato:




GOD1:
anche questo commento su fb al tuo ultimo post è drammatico

GOD2: Cos'è, un generatore automatico di parole a valvola?

GOD3: e spara pure raggi cattolici



Ritorno a casa Facebook




GOD (indistinto, mutliplo, innumenobbile): Marco, hai perfettamente ragioni da vendere gelati agli eschimesi. E scommetto che sai cosa fanno dodici eschimesi.

Amico di facciabuco (lo stesso): No giuro....veramente...

GOD (idem con patate): un eschianno.

GOD (i.c.p): un altro GOD: non so se sia il caso di vantarsene ma c'ero arrivato.

GOD (i.c.p): un altro GOD: non so se sia il caso di vergognarsene ma io no.

GOD (i.c.p): a questo punto nessuno avrà difficoltà a immaginare cosa fanno cinque trogloditi.

GOD (i.c.p): e 120 trogloditi ? così, per toccare il fondo.



Si torna all'Olimpo privato
(Thread intitolato didascalicamente "Lo scemo"):



GOD2:




a questo punto nessuno avrà difficoltà a immaginare cosa fanno cinque trogloditi


Troglomano? Mah.



e 120 trogloditi ? così, per toccare il fondo


A questa proprio non ci arrivo.

GOD1: fanno tre ottomani AHAHAHAHAHAH

GOD4: 24troglomani.

GOD3: naturalmente avete tutti sbagliato, era un troglopiede.

GOD1: quindi 5000 trogloditi fanno un troglomillepiedi.



Back to the facebook:



GOD (i.c.p):  allora. Vorrei spezzare una lancia a favore della tesi "I GOD sono un gruppo di idioti" svelandovi ciò che avviene nel backstage, cioè lo scambio di email generato dallo stolido quesito qui sopra

"A questa proprio non ci arrivo"

"fanno 3 ottomani AHAHAHAH"

"24 troglomani"

"naturalmente avete tutti sbagliato, era un troglopiede"

"quindi 5000 trogloditi fanno un troglomillepiedi"

E intanto il gruppo giovanile che suona sotto la mia terrazza sta sfigurando - se possibile -"Non voglio mica la luna"

Tutto questo sembra avere una misteriosa coerenza


GOD (i.c.p): Non si capisce

GOD (i.c.p): Per questo è coerente



Conclusione. Con un po' di kultur e weltansciampo in più, avremmo potuto sconfiggere i tarzanelli e buonanotte ai suonatori:



— Che ne dici? Dimentichiamo i nostri padri.

— Siamo il parto di noi stessi.

— Dunque siamo Dei.

— Ti credi un genio?

— Sì! E tu?

— A volte mi vergogno di pensarlo.

Il cileno Juan (Daniel Smith) e il tedesco Hermann (Henry Arnold) nella serie televisiva Heimat 2 — Cronaca di una giovinezza in 13 film (Edgar Reitz, 1993; Secondo episodio: “Due occhi da straniero — Juan, 1960/61”).

mercoledì 13 maggio 2009

Ultimo gioco in città: logica indiziaria

Te l'avevamo già detto una volta, qui. Te lo diciamo una seconda, qua: al cinema si mostrano gli effetti. Solo dopo, eventualmente, le cause. Che te lo diremo a fare una terza volta?

martedì 12 maggio 2009

Qual è il dramma?

Con tatto le chiesi se il marito aveva un anno di vita. Rispose piangendo che era più vecchio.

Sinergia outlet in tempi di crisi

Nel supermercato sotto casa mia ormai ci sono solo prodotti con marca del supermercato sotto casa mia. Ancora pochi mesi fa non era così. Ancora pochi mesi fa era tutto bollicine, cappelli a cilindro, caschetti alla Louise Brooks e Cotton Club. Il cotone ce l'ho, ma la carta da culo no. Me ne restano solo tre rotoli.

È la crisi, bellezza.

Se compri all'ingrosso i prodotti con marca del supermercato sotto casa mia, ti costa meno che comprarne uno solo. Una confezione da 32 rotoli di carta da culo ti costa meno che un rotolo solo, al chilo. Chili di rotolo da carta da culo. Della marca del supermercato sotto casa mia.

Mi aggiro nei reparti bolscevichi del supermercato sotto casa mia con la confezione da 32 rotoli di carta da culo. È enorme. È ridicola. È più alta e più larga di me. Fosse un armadio, potrebbero starci tutti i miei vestiti, compresi i calzini miei e quelli spaiati di un mio amico, che perde sempre i calzini perché glieli ho rubati io.

Io non la finirò mai, questa confezione da 32 rotoli di carta da culo della marca del supermercato sotto casa mia. Morirò, e resteranno tutti questi rotoli di carta da culo, dovrò andare dal notaio e cambiare il testamento, per aggiungere una clausola relativa alla carta da culo, tra parcella del notaio, marche da bollo e tasse varie questa confezione da 32 rotoli di carta da culo mi costerà l'occhio della testa, tanti quanto costerebbero 32 confezioni da 32 rotoli di carta da culo della marca del supermercato sotto casa mia. O 12 rotoli di carta da culo Cotton Club deLuxe, aromatizzati allo champagne con bollicine. Forse pure di più.

Reparto macelleria. Confezione da due hamburger della marca del supermercato sotto casa mia. Costano 3 euro, ma scadono oggi e allora l'impiegato del supermercato sotto casa mia ha scritto sopra il codice a barre con pennarello indelebile 1,50 €.

Due piccioni con una fava. Un affare, e al contempo la soluzione del problema. Torno a casa. Metto la confezione da 32 rotoli di carta da culo in mezzo al salone, monolito igienico ed economico. Poggio gli hamburger sul tavolo della cucina, dove rimarranno tutta la notte, oltre la data di scadenza. Il frigorifero rischierebbe di far fallire il mio piano ingegnoso e diabolico. Domani mattina, senza averli neppure passati in padella, li mangio crudi tutti e due.

2009: Odissea nella gastroenterite. Voglio proprio vedere se non ci do una bella botta, alla confezione da 32 rotoli di carta da culo della marca del supermercato sotto casa mia.

Il Cesarone








Si può sempre decidere il momento della propria morte.

C. Battisti, 11 maggio 2009.



- Ah sì? E dov'è la novità?

- Nell'aggettivo.



(Quizz: cosa si cela nella foto riportata a fianco, presa in prestito qui?)

lunedì 11 maggio 2009

Haiku esto talento e nun ce lo sapevamo!

sarò un po' zozzo

ma frequentar mafiosi

peggio è che tose.



(Courtesy of Amalfitano, Premio Oscar per la poesia)

Tre haiku

Prosegue la pubblicazione della raccolta "Haiku Manonu" (tr. it. "Scarabeo sfortunato")



La luna è piena

Oh ! vegli sul tuo sonno

un uomo lupo



Il sole brucia

Rido e penso alla cera

nelle tue ali



Ho fatto un sogno

E all'alba ? Lo ritrovo !

ODIO i remake !

domenica 10 maggio 2009

Circolare

Giornali che consultano esperti di economia e finanza che leggono i giornali. Fiducia che scende o sale in funzione della minore o maggiore enfasi che i mezzi di informazione mettono sulla crisi.

Mi ricorda una vecchia barzelletta.

Il capitano del fortino in visita al vecchio e saggio capo indiano gli chiede come prevede l'inverno. Il capo scruta l'orizzonte e dice "Non freddo". Il capitano torna al forte e fa preparare una catasta di legna non troppo alta. Ve la faccio corta: ad ogni nuova visita il capo scruta l'orizzonte e rilascia previsioni sempre peggiori, per cui la catasta viene rimpinguata. Dopo l'ennesima previsione catastrofica il capitano, stizzito, chiede al capo su che diavolo basi le sue previsioni e quello risponde "L'altezza della catasta di legna del forte"

L'ultimo gioco in città (LE SCOMMESSE SONO CHIUSE)

XVI — LA GELIDA MANONA





Che bella mano… È sua?

Totò in non so più che film.




In compenso so da che film è tratto questo spezzone, ma non te lo dico: trovalo da te e vinci un paio di guanti.

AGGIORNAMENTO (mercoledì 13 maggio): Abbiamo allungato il filmato. Ci riprendiamo un guanto e se ora non riconosci subito il titolo del film te lo tiriamo in faccia, perché significa che invece di andare al cinema hai preferito fare il furbetto, hai preferito vivere. E guarda un po' come finiscono, i furbetti.












P.S.: Ti ricordo che le regole de L'ULTIMO GIOCO IN CITTÀ™ sono depositate presso gli eredi del notaio Altamante Fruzzetti e possono essere consultate qui. Se non sai cosa fa la sinistra, consolati ignorando la destra.



LA PARTITA SI È CONCLUSA SENZA VINCITORI.

IL FILM DA TROVARE ERA I GANGSTERS (THE KILLERS, 1946), DI ROBERT SIODMAK.

LA
PROSSIMA SFIDA SI TERRÀ DOMENICA 17 MAGGIO.

sabato 9 maggio 2009

Progetti che non riusciremo mai a realizzare

Pubblicità di trenino a vapore con tender per il carbone e carrozze.

Prime idee per il nome: "Misery train", "Vagone cotoletto", "InternCity", "Arrivavano puntuali"

Ogni carrozza riporta sulla fiancata un simbolo che identifica i passeggeri ammessi a salire

- milanesi: facciata duomo di Milano o madunina

- africani: immaginetta tipo bingobongo con sveglia al collo

Meglio:

uomini africani: cazzone nero oversized

donne africane: puttana nera in short e zatteroni china al finestrino di una macchina

- romeni: immagine stilizzata che evochi il concetto di stupro

- comunisti: immagine classica di Baffone

La stella di David è riservata al tender con il carbone. Un'icona che non è difficile immaginare identifica il vagone piombato degli omosessuali.



Immagini luminose su fondo bianco, tipo quella qui sotto. Aggiungerei brevi scritte esplicative a fianco di ogni vagone- font chiaro e ben leggibile, nessuna enfasi. Tutto molto pulito, essenziale e soprattutto realistico: i destinatari sono collezionisti pignoli. Non è un prodotto di fantasia, ma la rappresentazione accurata di un vero sogno.



Un po' alla volta potrebbero aggiungersi altri elementi del paesaggio che sta attorno. Anzi, sarebbe un intero paese, immaginario solo nel senso indicato sopra. Un paese cementificato, sporco, criminale, razzista, ignorante, in marcia verso il passato, molto religioso. Un panorama spigoloso per i maestosi cartelli di divieto e sinuoso per le infinite dolci scorciatoie. Figurine di operai che bruciano negli altoforni e di muratori che cadono dai tetti, di veline al top e di ricercatori barboni, di baroni e tromboni che regolano la distribuzione del sapere da piccoli bunker che si sparano tra loro. Per la gioia del collezionista: intrecci di tubature, deliziosi merletti di valvole, ghiere, filtri, chiuse, canali.


Le rappresentazioni di città e in generale di luoghi di aggregazione reali e virtuali dovrebbero essere disseminate di piccoli schermi che trasmettono identici spettacoli fracassoni e imbecilli e di videocamere che li alimentano filmando ottusamente quel che c'è attorno: risse per motivi incomprensibili, capannelli in preghiera, voyeur appiccicati alle finestre, collinette con croci, forche, strani frutti appesi agli alberi, elmetti e manganelli spruzzati come con l'aerografo, vecchi rotolati a terra, fossi pieni di ciechi deragliati, donne carponi, con occhi pesti e gonne sollevate. Autoambulanze, pompieri, pompe funebri tutti ugualmente fusi dentro ammassi di automobili bloccate in un puzzle di metallo caldo e puzzolente per il sole e perfettamente sigillato da strade e palazzi.





Bisognerebbe cercare di realizzare questo progetto con foto, mappe, cartelloni, segnaletica, istruzioni per l'uso, circolari, articoli di legge, luoghi comuni.

Who's next - gli obituaries di GOD

Il coro dei prefichi


"Sono troppo addolorato
, la lapide sceglietela voi"

"
Ma se hai sempre desiderato lapidarlo"



- E' morto Baget Bozzo: cala di un unto il consenso a Berlusconi


- Notizie dall'Italia: improvvisamente risolti i problemi di Baget

- Di mamma ce n'è una sola, di "papi" due, di preti -1

- Si è spento Gianni Baget Bozzo. Ma chi cazzo lo aveva acceso ?

- Sono indeciso tra "domani è un altro giorno" e "francamente me ne infischio"

- Era un prete troppo avanti. Lo chiamavano p.net

-
Muore sotto elezioni: la solita giustizia divina ad orologeria

-
In questo caso è un peggiore che se ne va. Siamo comunque buoni e diciamo "Guerra all'anima sua".

- Non è che si sono confusi con la morte di Dom DeLuise ?





"Oh non c'entra un cazzo, ma la Brambilla è ministro al turismo"

"Sì, sessuale"

Eros e thanatos

" Scusi, è per via del referto medico....sua moglie è morta durante o dopo l' amplesso?"


" E come facevo ad accorgermene!"

Godiving for pearls

Il mio amico Hayao Yamaneko ha trovato una soluzione: se le immagini del presente non cambiano, allora si cambiano le immagini del passato.

Voce narrante in Bez solntsa — Sunless — Sans soleil (Chris Marker, 1983).










Fotogramma del film preso dal mare di perle http://unpalombaro.tumblr.com/.




Dopo il continua a leggere, ti aspetta un'altra perla. Oggi God è generoso, approfittane.














Anni fa scrissi un adattamento cinematografico in francese, per diletto. Su questa (che però era interpretata da Caruso) si vedevano due uomini entrare in una villa di campagna borgognona. Un pitbull li aggrediva e loro gli sparavano letteralmente nelle fauci. Il padrone di casa, un uomo sovrappeso con un passato di torturatore serbo, usciva dalla vasca da bagno e irrompeva nel salone tutto nudo e ancora sgocciolante, con una pistola in una mano e un libro di Eduard Limonov nell'altra. Si prendeva una pallottola in pancia, sputacchiava un po' di sangue e di porcherie reazionarie e poi veniva freddato con un colpo alla testa. A un certo punto, uno dei due uomini chiedeva all'altro: “C’est quoi, cette musique de cocus?”. E l'altro, meccanicamente: “Caruso, le prince du Bel Canto”. Alla fine della scena il secondo vomitava.

G.O.D. chi?

Va bene, non giriamoci tanto intorno: Barbara Spinelli ha citato questo blog in un editoriale su "La Stampa" e noi ce la tiriamo come sei corde di chitarra andalusa.

Fuor di auto-marchetta, consigliamo vivamente la sana lettura.


 


la_stampa_barbara-spinelli(cliccare sull'immagine per leggere l'articolo)

Nuovi IQ

Vi proponiamo oggi alcuni IQ tratti dalla raccolta "Haiku Manonu" (tr. it."Scarabeo sfortunato")



Sei un ingegnere

e pontifichi sempre

Ma non fai ponti



Il web ti è ignoto

Eppure puoi parlarne

Perché sei il capo



Quando ti vide

non saltò, la natura.

In te inciampando



Il tuo pensiero

è molto meno chiaro

delle tue tette



Nelle mutande

non cercheresti invano

il tuo cervello



Con quella bocca

puoi dire ciò che vuoi

Dov'è un cuscino ?

martedì 5 maggio 2009

L'ultimo gioco in città - secondo indizio

Un solo wakizashi tutto sommato può bastare, fatevene una ragione.




Who's next ?



Cedimento

Sai cosa? Hai una faccia che sembra cascata nella salsa al formaggio del 1957.

No, “Nada” (Roddy Piper) non è maleducato e la signora a cui sta parlando non è un’innocua casalinga al supermercato, ma un marziano stagionato in Essi vivono (John Carpenter, 1988).




Però in questa storia tocchiamo davvero vette di disgusto di raro horrorshow. Come se il re, nudo, mostrasse di non avere un sesso (o di averne tre, tutti diversi, o di essere tutto un solo, gigantesco sesso indistinto). Un alieno caduto sulla Terra, a metà strada tra Essi vivono e Bad Taste—Fuori di testa. E così la società che lo circonda. Ecco, forse il film che più mi viene in mente, guardando le immagini forse F for Fake (ossia forse vere, o comunque verosimili) di quell'imperatore marziano al compleanno napoletano è proprio Society. Finzioni una dentro l'altra e l'altra dentro l'una, a scatole cinesi, rovesciate, senza distinzione tra dentro e fuori: una quarta dimensione ai confini della realtà e a immagine e somiglianza dell'Impero Mediaset. Già il nome di Lei, pensateci, sembra falso. Una parodia di "Marlene Dietrich": comincia con la promessa di un'eleganza giovane bella, abbronzata e top rovinata da uno svarione dislessico, e finisce miseramente nella certezza di un porno amatoriale (o di una poltrona ministeriale).



E le sue foto, su facebook. Il terrore che possa chiederci la nostra "amicizia", e magari ringraziarci di aver accettato l'invito. Nel pianeta Arachnoid, quali simboli tipografici si useranno per esprimere la soddisfazione, la "letizia", quale faccina? E ovviamente, serviranno occhiali protettivi per vederla, perché nei b-movie ci sono faccine aliene che provocano la follia, come certe formule magiche. Asa nisi masa, klaatu barada nikto, noemiletizia. Guardatele, quelle foto, chiaramente ritoccate con un photoshop fatto in Casa (quella di Samuel Raimi, magari mentre il papà legge ad alta voce il Necronomicon incappucciato in un drappo scuro). Pare abbia appena compiuto diciotto anni, ma non è vero niente. Mia figlia tra 11 anni avrà la sua età, è ovvio che qualcosa non torna. Quella "donna" o "thing" che sia sembra già stata sottoposta a molteplici lifting, interventi plastici con strumenti chirurgici inventati dagli inseparabili gemelli Mantle, che non sono riusciti a correggere i segni di una mostruosità lovecraftiana, a illudere su un paio di chiappe sul punto di tracollare definitivamente. Oppure la verità è altrove, ancora più terrificante: non volevano occultare nulla, anzi. Volevano esibire con orgoglio il frutto dei loro esperimenti. Loro, quella cosa, la trovano "bella".

Forse nella twilight zone di Arachnoid lei ha proprio diciott'anni. Ma in tempo umano probabilmente i suoi 18 anni equivalgono ai nostri 73 (come minimo, e anche come minimmo: fascista su Marte). In un certo senso, lei e il suo "altro Dio" sono coetanei. Quell'appartamento partenopeo è il punto dello spazio e del tempo in cui le parallele si incontrano: eccoli, i grandi Antichi.



Quanto a Dagon, o Chtulhu, si aggira tra le stanze del palazzo dirigendo la grande cerimonia d'iniziazione della maestrosa entrata nel grande social network della vita, spalmando e spammando lo stesso identico sorriso ovunque. Ubiquo, immortale e sempre uguale a se stesso. Berlusconi si somiglia. Lui è dappertutto e in nessun luogo, centro e circonferenza pascaliana, Arkadin redivivo che invece di raccontare apologhi pseudogeorgiani a ospiti e camerieri vomita barzellette zozze. Potrebbe anche non esser lì, e infatti la ripetizione sistematica degli stessi atteggiamenti, dello stesso volto e di quello che convenzionalmente continuiamo a chiamare "sorriso" (ma cos'è, in realtà, quell'espressione? non lo sapremo mai, almeno da vivi) fanno pensare a una manipolazione fotografica. Un "fake". O, se preferite, un B for Bug: nel senso wellesiano ma anche in quello dei B-movie anni Cinquanta, tra tarantole e formigoni giganti, e, last but not least man on earth, in senso informatico e multimediale. Uno Zelig doppiamente rovesciato (nelle leggi fisiche della Society di Brian Yuzna la normalità è fatta di contorsioni soprannaturali, altro che Houdini), perché quella anomalia nell'immagine diventa anomalia dell'immagine, quella incrostazione diventa l'immagine tutta, la divora; e perché il suo continuo trasformismo non vuole mai spettacolarizzare altro da sé: quell'uomo, ripeto, imita sempre e soltanto se stesso.



Non so se prova davvero paura, quella cosa "mostruosa e libera", cuore di tenebra della setta che ha depositato un copyright proprio sulla parola "libertà". Se prova paura per le conseguenze elettorali, per la ricaduta d'immagine (un cedimento, un tracollo, un collasso). A rigor di logica, l'esposizione (anche nel senso in cui lo intende Brian Yuzna) di quelle foto dovrebbe produrre un moto collettivo di orror panico, ancestrale. Questo dovrebbe essere il sentimento umano, qualcosa che non ha nulla a che fare con la morale, frutto della civiltà, quindi di un'evoluzione successiva all'istinto primordiale. A rigor di logica, la lista sotto il sigillo di Chthulhu dovrebbe ottenere lo 0,1%. Se prende appena un po' di più o addirittura vince (no, non è possibile, non voglio neppure pensarlo), allora significa che siamo condannati a vivere nel terrore dallo spazio azzurro profondo.

Io voglio saperlo prima. Voglio uscire per le strade d'Italia, senza dare nell'occhio, comportandomi come tutti gli altri, senza reazioni particolari di alcun tipo. (N.B.: nella versione italiana del film non dare nell'occhio significa andare a settanta all'ora sulle vie pedonali, passare col rosso e parcheggiare il SUV in doppia fila, però qui atteniamoci al classico come metafora.) Ma prima di varcare la porta di casa sostituirò gli occhiali scuri con i ray-ban di Carpenter e fingendo di leggere il giornale, di scrivere messaggini predefiniti sul cellulare, di espletare le funzioni biologiche e professionali, li guarderò, uno per uno, nell'autobus, in metropolitana, ai tavolini del bar, in ufficio, nella mensa aziendale, a letto. E li conterò.












Ora c'è un "continua a leggere". Ma preferisco avvertirti: il video di Society che hai appena visto, paragonato a quel che troverai oltre, e ai link contenuti in esso, equivale a un cartone animato di Fragolina Dolcecuore.



Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu

R'lyeh wgah'nagl fhtagn
.

lunedì 4 maggio 2009

La fine della carta stampata


Una caccia alla spazzatura è come una caccia al tesoro, solo che in una caccia al tesoro si cercano cose che si desiderano e nella caccia alla spazzatura cose che non vuole nessuno, e non si vince nessun premio perché alla fine tutti i soldi che rimangono vanno in beneficenza, solo che non ne rimangono mai.

Irene Bullock (Carole Lombard) ne L’impareggiabile Godfrey (My Man Godfrey, 1936) di Gregory La Cava.




Ricordo, mi dissi che era giunta il giorno in cui "la Repubblica" scelse di pubblicare in prima pagina a caratteri cubitali e in non so quante colonne la lettera che Veronica Lario scrisse al direttore della testata per chiedere le scuse al marito, l'allora e tuttora Presidente del Consiglio della Repubblica italiana Silvio Berlusconi.

Da due giorni scorro sconsolato i giornali e la loro miserabile propaggine virtuale: pagine e pagine di carta vera o finta ma sempre straccia, di fotografie vagamente pedofile, di gossip che umilierebbero persino il quoziente intellettivo di uno zombi digiuno di carni umane dal 1968, anno in cui uscì dalla tomba per fracassare il cranio di quel cretino di Johnny ("They're coming to get you, Barbara…").

Punto 1: Non me ne frega assolutamente nulla.

Punto 2: Non ho alcuna opinione personale e neppure minimamente morale riguardo fatti privati che colpiscono (?) persone di cui non riesco neppure lontanamente a immaginare l'esistenza. Oltre un certo reddito, la "vita degli altri" diventa pura fantascienza. Li ascoltassi con le cuffie in testa come in quel film osannatissimo e mediocrissimo, sarebbe come sentir gente che parla arabo. Le loro intercettazioni telefoniche me le immagino scritte in Lineare B.

Punto 3: Lascio ad altri il compito di ripetere, per l'ennesima volta, che tutto questo bailamme è affatto coerente con il berlusconismo, forse la sua natura più profonda. Un conflitto d'interessi che alla fine fa sì che tutta l'attenzione, la passione e l'informazione si concentri sui suoi interessi. E lo consideri normale, e consideri che questa è la prova definitiva che il problema del conflitto d'interessi è un'inutile, vecchia solfa. È vero, infatti: quest'ultima, patetica puntata ne sancisce l'apoteosi. Da questione superata si trasforma in questione sublimata. Silvio Berlusconi divorzierà da Veronica Lario. E si risposerà con l'Italia tutta.



Il punto che mi interessa è un altro. Il punto è che sono stufo di sentir ripetere che quel che viviamo da quindici anni rappresenta la vera anima del Paese, e ancor più stufo di quelli che si scrollano di dosso la responsabilità dicendo che non è cambiato nulla, che la realtà è sempre stata questa, che il più pulito aveva la rogna. Pure Veltroni disse che non era meglio, prima. La breve e inutile storia del Partito democratico, fatta di coraggio  western fine a se stesso (corro da solo!) e di contraddizioni disinvoltamente esposte al pubblico ludibrio è solo l'ennesima diserzione delle élites. Infatti è scomparso, Veltroni. È scomparso perché prima era meglio. De Gasperi? Foa? Spinelli? Bobbio? Togliatti? Dino Risi? Antonioni? Fellini? Pietrangeli? Pasolini? Landolfi? Gadda? Calvino? Sciascia? Paolo Conte?

Macché. Nessuno di questi avrebbe avuto un minuto di celebrità, se non ci fosse stato il contesto adatto.

In principio era lo stile. Questa nazione aveva uno stile, cazzo. Lo so, altrimenti da trent'anni che vivo in terra straniera cosa mi costava, a parte la fobia delle scartoffie e il terrore ebraico della Legge e delle prefetture, stracciare il passaporto e cambiare cittadinanza? Questa nazione aveva uno stile. Anche la sua cialtroneria era uno stile, e ho sempre pensato che se sono nato è anche grazie all'inefficienza statale, e non per quel che sostiene un condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa
, storico improvvisato cui un giornale storico concede libertà di parola affossando sempre più la propria credibilità (agli occhi del mondo tutto, te lo garantisco, caro De Bortoli, anche se fingi di non vederlo lo sai benissimo che l'Italia è un paese in quarantena da 15 anni, e che la diffusione di questa disgustosa intervista, ennesima e tragica diserzione, ritarda di anni e anni la libera uscita dal manicomio). Anche quando raccontava la cronaca nera, che assieme al bianco è sempre (sempre) l'orizzonte del rosa, come di tutti gli altri colori. L'ho pensato oggi, mentre leggevo queste pagine, di cui riporto l'inizio: le puoi vedere cliccando sul "continua a leggere", a destra dopo il filmato, che devi guardare, altrimenti quel che segue non te lo meriti : l'unica cosa che ti saresti potuto risparmiare era il pistolotto che ti ho inflitto finora, ma se sei ancora qui vuol dire che ci sei cascato e allora peggio per te. Devi sapere che  quel che leggerai è solo l'incipit: il testo integrale è lunghissimo, almeno 15 cartelle.  E in quelle 15 cartelle, fingendo di osservare un buco della serratura, si racconta la storia di tutto un Paese. La carta stampata cominciò a morire quando decise di vietare a priori gli articoli lunghi, di questo sono convinto da molto tempo. Ora pare che persino sui blog non funzionino più, infatti qualche tempo fa abbiamo coniato l'etichetta "morte del testo lungo".

È un fottuto Paese fottuto, il nostro. Non ce lo meritiamo più, Alberto Sordi. Lo abbiamo sublimato.



















Como, settembre.




I personaggi del dramma erano tutti a tavola nella stessa sala come nelle tragedie di Shakespeare. I primi a volersene andare furono i conti Bellentani. Il marito era stanco e gli doleva una spalla. Allora la contessa Pia andò verso il guardaroba e tornò poco dopo. Pareva che tenesse nascosto qualcosa sotto la pelliccia di ermellino, tra il braccio sinistro e il fianco. Qualche minuto dopo, l'industriale Carlo Sacchi di Como giaceva sul pavimento con un proiettile calibro 9 nel sesto spazio intercostale sinistro. La contessa Bellentani, appoggiata al muro con le spalle, gridava parole incomprensibili, aveva ancora tra le mani la pistola, se l'era anzi puntata alla tempia destra come se volesse uccidersi. La pelliccia le era scivolata sul suolo. Vestiva di raso grigio perla con lunga scollatura a punta e due spalline sottili. Davanti a lei l'industriale Leopoldo Surr e il signor Robert Bouyeure. Il Surr le tolse di mano la pistola, il Bouyeure le diede due schiaffi. Seduta di fronte alla Bellentani, la cronista mondana Elsa Haerter. La sorella del Sacchi, Ada Locatelli, e la moglie, Lilian Willinger, erano inginocchiate accanto al moribondo: la gran sottana rigata di Ada Locatelli si allargava per terra, accanto alle gambe rigide del fratello. Una terza donna, la signora Mimmi Guidi, dal volto pallidissimo, si gettò a terra anche lei, e strinse le mani del Sacchi. "Non potete mandarmi via; ho diritto anch'io di stare qui" gridava: ma fu allontanata con durezza dalla signora Locatelli. Per un attimo le donne bianche e scollate gridarono tutte insieme e le loro braccia s'intrecciarono intorno al corpo del Sacchi. Il conte Bellentani stava bevendo un bicchiere d'acqua minerale quando sua moglie aveva sparato. Non aveva capito subito che cosa fosse successo, poi si era avvicinato a Pia. Non era però riuscito a parlarle e si trovava esattamente tra il gruppo della moglie e quello dell'uomo morente. A questo punto la sarta Biki svenne.

Intanto l'orchestra continuava a suonare. Nella sala vicina molte coppie ballavano ancora, un uomo cantava la canzone sentimentale La semaine ed era arrivato all'ultima frase: "Et le dimanche, je te vois".



Camilla Cederna, L'educanda di Villa d'Este, "L'Europeo", IV, 40 (153), 27 settembre-3 ottobre 1948, p. 4.