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lunedì 14 dicembre 2009

Il catalogo delle idee chic reloaded

UN INCIUCIO, SÉ PLÙ FASIL



saul-steinbergIl nuovo segretario del Pd, proprio nel rifiuto di aggregarsi al No Berlusconi Day, ha già dato una prima indicazione della identità tutta politica che vuole dare all’organizzazione. Del resto, Bersani e buona parte dell’attuale gruppo dirigente del Partito democratico vengono direttamente dalle file di quel Pci che negli anni bui non temette di stare accanto al suo avversario storico, la Dc, per fermare il terrorismo. Ora non siamo affatto nell’emergenza di allora. Ma, oggi come allora, il perno della politica rimane il principio che la governabilità di un Paese dipende dall’assumersi responsabilità. Anche da parte di chi è all’opposizione.

Lucia Annunziata, La sinistra a un bivio, "La Stampa", 14-12-2009.


lunedì 7 dicembre 2009

Undercapodellostatements

Napolitano: "Troppe tensioni minacciano la vita civile". Con questa è ufficialmente candidato a condurre "Elisir". Poi ha aggiunto che su Piazza Fontana "non tutto è chiaro", per tenersi aperta una possibilità a "Mistero".

domenica 4 ottobre 2009

Niente pensieri. Non contestare l'autorità. Dormi. Guarda la tv.

Questa scommetto che resterà nella top ten del ventennale horrorshow al quale ci tocca assistere: un loop perfetto, in cui le parole di questo sinistro, piccolo Goebbels, l'inquadratura, la fotografia, il contesto stesso in cui è stato collocato nel tg più guardato del primo canale della televisione pubblica, l'oscuramento di qualsiasi forma di contraddittorio, l'assoluta e truce serietà del tono e dello sguardo, che nulla ha a che vedere con la grottesca e sfacciata isteria di un Fede; tutto insomma, forma e sostanza, significante e significato concordano, in una spettacolare conferma di quel che Augusto Minzolini intende smentire.







lunedì 31 agosto 2009

Passato e Avvenire

Noto omosessuale

Donna di facili costumi

Comunista

Terrone

Clandestino

Negro

Ebreo



Tutti già attenzionati

sabato 16 maggio 2009

8 secondi, ovvero Stella, stellina

Ora preferisco raccontar delle storielle.

Ne racconterò di tali che quelli torneranno apposta, per accopparmi, dai quattro venti.

Allora la sarà finita e ne sarò arcicontento.


Louis-Ferdinand Céline, Morte a credito, 1936.




I
n tutta Italia c'era un'unica persona convinta che il Governo Prodi avrebbe tenuto un'intera legislatura: Prodi.

Io che il Governo sarebbe caduto l'ho capito l'indomani delle elezioni, quando qualcuno mi svegliò con una telefonata, per comunicarmi che "avevamo vinto": grazie agli elettori residenti all'estero. Un ennesimo, inutile risveglio. Per avere notizie di
quelli che vivono altrove, e che vogliono dirci che c'è qualcosa di nuovo oggi nell'AIRE.

E glielo dissero subito, e glielo ripetevano, almeno due volte alla settimana. Lui non ascoltava mai. Voltava le spalle e tornava a "lavorare", perché Prodi è un vero lavoratore, e ha il senso del dovere e dello Stato, non può perder tempo a sentire stupide battute.

Dimenticò di segnarsi su un pizzino "ricordati che devi morire", e allora non ci restò che piangere, altro che battute da bagaglino o da God. Prodi aveva un solo compito da svolgere, durante la sua seconda, inutile presenza a Palazzo Chigi: cadere bene. Saper celebrare il seppuku al momento giusto, essere il Mishima della politica italiana. Oggi, ne sono quasi sicuro, ci troveremmo in un'altra realtà. Bastava poco: impuntarsi su un punto del programma elettorale, un punto magari minore ma popolare, sapendo di avere probabilmente con sé la maggioranza del Paese, ma certamente la minoranza nelle Camere. I Dico, per dirne uno.

Ma Prodi non è Mishima, è uno che passa il tempo a lavorare: davanti alle finestre aperte, come Pinelli. E il Governo fu defenestrato perché Prodi si era dimenticato di fare una telefonata, no, meglio, una telefonatina (o magari addirittura il messaggino predefinito "doveseicosafai?") a un tappetto di Ceppalonia. (Ricordo ancora, quel giorno madrileno in cui lessi la composizione del Governo, ed ero furioso. Tra le altre cose che urlai, lasciando i churros a poltrire nella cioccolata: pur ammettendo che purtroppo, considerati i numeri della maggioranza, con la sua pugnetta di voti quel "giornalista" è determinante, sì, insomma, capisco tutto, ma addirittura il Ministero della Giustizia?!)

Poi un giorno Clemente Mastella decise di ritirare l'appoggio esterno al Governo. E disse che il suo gesto non lo avrebbe spiegato alle Camere, ma in sede più appropriata. Ossia alla televisione.

E così il Governo cadde a "Porta a Porta". Cinque milioni di italiani e i destini del Paese appesi alle sue labbra. E lui parla, parla. Della moglie. Del figlio. Della suocera. Del cognato. Delle zie. Della mamma. Dei
cugini di secondo grado.



Quella sera, prima di andare a dormire, spedii una ninnananna a un cugino di primo grado:



Mastella mastellina

la notte si avvicina:

la fiamma tricolore balla,

La Russa è nella stalla.

La Russa e Schifani,

Calderoli e Tajani,

Berlusconi cogl'italiani,

la mamma coi bambini.

Ognuno ha la sua mamma

e tutti fan la nanna.



E appena prima avevo scritto a un piccolo giornale locale, con il quale collaboravo sporadicamente. Tanto poco importa la maggiore o minore notorietà delle testate, ormai piccoli e grandi giornali sono tutti altrettante macchine celibi, che come in una
greve notte d’estate del 1924, ballano al suono di Valencia o di Tea for Two, passeggiano, fanno il bagno nella piscina, "come villeggianti sistemati da molti giorni a Los Teques o a Marienbad". A giocare con qualche fiammifero, in un'autorappresentazione rotatoria, in una recita senza spettatori, a parte qualche naufrago casuale.



E siccome non sapevo quale battuta improvvisare, scelsi di fare come l’attore brechtiano, che "dovrebbe mostrare piuttosto cosa è la verità: citare".



Nella vecchia Inghilterra la punizione per un traditore era la decapitazione. Dopo l’esecuzione tiravano su la testa tagliata per i capelli: non, come molti pensano, per farla vedere alla gente, ma affinché la testa vedesse la gente, perché la coscienza dura altri 8 secondi.

L’agente speciale dell’FBI Alexander Mahone (William Fichtner) al collega e traditore Wheeler (Jason Davis) nella serie televisiva creata da Paul Scheuring Prison Break (stagione II, episodio 20: “Panama”, 2007).



Lo pubblicarono. Ma in una pagina che parlava della Borsa. I mezzi di comunicazione tutti, blog compresi, e la classe politica tutta, almeno quella che siede ora sulle poltrone delle Camere e di "Porta a Porta", avevano deciso che il Governo non lo aveva fatto cadere Mastella. Lo avevano fatto cadere "le sinistre". Il problema dell'Italia era la sinistra. E ora la nostra gloriosa democrazia era pronta, finalmente, a compiere il grande passo, il salto in avanti verso la maturità definitiva: liberarsi in saecula saeculorum della sinistra, cancellarla forever and ever and ever dal panorama della politica italiana. Come nelle fotografie della dittatura sovietica.

E ora che ci siamo riusciti, ci sentiamo tutti molto meglio, e guardiamo al futuro con fiducia e speranza, sorridenti viaggiatori nella lunga, interminabile notte del grande e strano spazioazzurro.



MONSIEUR DUCON: Che peccato. Nutrivo molte speranze, in quel ragazzo.

MADAME LABEUVE: Non potevamo mica sapere che era pazzo.

MONSIEUR DUCON: Ha vissuto in un ambiente marcio. Il suo talento non lo ha salvato. La buona sorte è venuta troppo tardi, per lui.

MADAME LABEUVE: Fortuna che ha potuto invocare la follia, al processo.

MONSIEUR DUCON: Fortuna soprattutto che possiamo continuare lo spettacolo senza di lui.

Jean-Patrick Manchette, brano della sceneggiatura Mésaventures et décomposition de la compagnie de la danse de mort, scritta nel 1968 e mai girata.





Titoli di coda del film "Too Late Crocodile" con credits, ringraziamenti e buonanotte ai suonatori in una singola playlist youtube.






venerdì 17 aprile 2009

Dell'abiezione

Les travellings sont affaire de morale.

Jean-Luc Godard, Table ronde sur "Hiroshima, mon amour" d'Alain Resnais, "Cahiers du cinéma", n° 97, luglio 1959.





La morale est affaire de travellings.

Luc Moullet, Sur les brisées de Marlowe, "Cahiers du cinéma", n° 93, marzo 1959.




Solo violenza aiuta dove violenza regna. Ieri sera ho messo sul fuoco una pentola piena d'acqua, ho tirato fuori dal frigo una confezione di ravioli ricotta e spinaci Rana, ho tagliato con le forbici un cartoccio di panna liquida, ho grattato un po' di parmigiano e ho acceso il televisore.

C'era AnnoZero.





Io AnnoZero non lo guardo mai, perché dove solitamente vivo RaiDue non arriva, dalle mie parti abbiamo diritto solo a Bruno Vespa, da anni non possiamo neppure guardare Euro e Mondiali perché la Rai non paga i diritti satellitari. A volte vedo dei pezzetti di AnnoZero su youtube, quando me li indicano gli amici. La trasmissione intera sul pc no, troppa fatica.

Sul mio pc di tanto in tanto raccolgo notizie degli amici, nel senso in cui li intende facebook o la cosiddetta blogosfera.


C'è quello convinto di giocare a pipsqueak-squashing senza accorgersi che si tratta di redcross-shooting.
C'è quello che deride un tale perché si è laureato in una materia indegna, così ridicola che personalmente sarei stato sonoramente bocciato al primo esame e non ci avrei mai più riprovato, tanto mi pare difficile. È anche vero che come diceva Julia Roberts in un film discreto, "I manicomi sono pieni di persone che si credono Gesù o Satana. Pochissimi hanno la fissazione di essere un tipo in fondo alla strada, che lavora per una compagnia di assicurazioni". Il dottor Caligari ospita migliaia di compagni che credono di salvare il mondo o se stessi iscrivendosi o addirittura creando gruppi su fb dediti alla lotta senza quartiere contro un pò, un dò, un qual'è. Come se da un'elisione o da un troncamento dipendessero esiti rivoluzionari (rivoluzionarii? rivoluzionarî? Ma vaffa). Come se bastasse tuffarsi nei congiuntivi per riemergere con decine di perle, come se l'orrore nel quale siamo impantanati fosse dovuto a una o (:o!) al posto sbagliato, a un semplice errore, a uno svarione e non piuttosto a un refuso deliberato e necessario.



Io non ascolto mai le parole del Papa, figuriamoci quelle dei suoi subalterni. Quasi mai. Per me può dire quel che vuole, giusto o sbagliato che sia, non faccio parte della sua parrocchia, dalla nascita, per scelta e per problemi di ricezione satellitare. A volte ascolto o leggo dei pezzetti delle
sue dichiarazioni, perché gli amici mi obbligano, ma di solito non ne penso nulla, le parole mi scivolano come acqua sugli impermeabili (e non sull'anima, non ci credo, nell'anima). Dalle mie parti si chiama "passare tra le gocce": perché uno si riserva per i grandi tifoni conradiani, ma poi passa la youth e ti ritrovi ad affrontare una tempesta di merda cilena.

È un atteggiamento completamente sbagliato, diciamocelo. Oltretutto è anche ingenuo. Finisce che uno arriva impreparato, come all'esame di una materia universitaria stupida, inutile, e difficilissima.

A furia di essere un pugile suonato, uno dimentica di andare in palestra, all'allenamento. Ce lo dicono, spesso, gli altri, gli amici, i compagni, convinti forse di essere dei contender, ma se gli chiedi di mostrarti il biglietto scopri che in mano hanno una sola andata per Palooka-ville, intraducibile distopia americana, anche se ricordo che Maud diceva a Jean-Louis: "Dovunque si vada, si è condannati alla provincia".

Così ieri sera ero troppo distratto per prevedere l'uppercut da k.o. Stavo lì con i ravioli sul piatto, un occhio rivolto alla televisione che parlava di un vignettista che non fa ridere perché invece di fare satira si permette di ricordare i fatti, disegnando un terremoto di scarsa entità che per motivi fatali ha fatto 300 morti in una sperduta cittadina del Congo belga, e di un uomo di potere che oggi parla esattamente nello stesso modo in cui parlava un altro uomo di potere ottant'anni fa; e l'altro occhio sul monitor del pc dove c'è quello che continua a cullarsi nella convinzione che la maggior parte delle donne abbiano 2 seni (mentre è molto più comune che ne abbiano 1, 3, 5), quello che spacca le semibiscrome in 4, quello che dispone di tutti i curriculum vitae di tutti gli esseri umani, nel 2042 saranno 9.000.000.000, nel 2666 chissà, forse 0, anche se pare che "to GOD, there is no zero". Una colossale Biblioteca di Babele di lauree immeritate, millantate, estorte, sperate: un incubo da far rimpicciolire l'archivio Andreotti, 3 millimetri al giorno.

Siamo solo buffoni, altro che dèi, al massimo dei lesser gods. Bastava vedere la povera Guzzanti, stremata, à bout de souffle, e te credo, questa realtà (ossia questa televisione) schiaccerebbe persino Andy Kaufman o Lenny Bruce, la guardavo afflitto con un occhio, mentre con la generosità dei perdenti mi strappava un sorriso nominando Marziale e Orazio, homuncio lepidissimus, penis purissimus, ma con l'altro occhio leggevo quel che mi scriveva un'amica, giustamente notava che il meglio ormai è fuori copione, quando non riuscendo più a trattenere la rabbia Sabina, interrotta da Ghedini ancor prima di cominciare il suo show, ripete urlando le parole dell'Azzeccagarbugli che questo Paese si è da sempre meritato: "DI PIETRO ORAMAAAIII!!!". E insisto, quell'urlo gli sfugge prima di iniziare il monologo. A mo' di involontaria confessione, a indicare che quanto seguirà non sarà uno sketch comico, ma solo uno sbocco di sangue, quel Mauvais sang che faceva dire a Michel Piccoli: "Non capisco che succede. È una cosa recente. Non riesco a dimenticare più niente. Le mie emozioni non si cancellano più una dietro l’altra, come prima: si ammucchiano, si accatastano. Nulla cicatrizza più. Poco fa, per qualche secondo, ho avuto paura. E ora mi porterò appresso questo schifo di paura fino alla fine".

Infatti Sabina Guzzanti è venuta dopo, a guerra finita. Hiroshima era già avvenuta, amore mio, e io non l'avevo prevista, avevo ignorato tutti gli sciami, la protezione civile si era scordata di avvertirmi.

A un certo punto, infatti, nello schermo della televisione (che poi è la realtà, o no?) è apparso il diavolo in persona.

Come sempre, si presenta sotto vesti rassicuranti. In questo caso, addirittura quelle ecclesiastiche. Ragiona come la maggioranza degli italiani, come uno di noi, insomma, parla la nostra lingua e aderisce allo spirito dei tempi, quello dell'ignoranza militante (non ho visto nulla, non ho letto un tubo, non so un beneamato cazzo e ne sono fiero). Un uomo comune. Ma c'è qualcosa che tradiva la sua natura di vero Dio, di fronte al quale siamo solo piccoli God, dilettanti della comicità o pugili suonati, noi, la Guzzanti, quello che vorrebbe abbattere la bêtise o la connerie, vasto programma, quello che cosa hai studiato a fare e quello che se un pò mi dò gnente.

Noi cerchiamo di essere un po', appena un pò intelligenti, ma quell'uomo era geniale, "nel senso più notturno e tedesco di questa brutta parola", come diceva il giovane Borges stroncando Quarto potere di Welles: il film che non a caso segnò l'intera opera futura dello scrittore argentino. Possiamo scavalcare un paio di ostacoli, ma non basta darsi all'ippica per essere un Cavaliere dell'Apocalisse. Tutta la nostra ironia spuntata, tutte le nostre battutine di spritz: e nel giorno del Giudizio potremo vantare al massimo un paio di omicidi. Un tableau de chasse che la polizia municipale di Santa Teresa o Ciudad Juárez non reputerebbe neppure degno di un serial killer, indagine archiviata. Quell'uomo riesce in un sol colpo a  frullare in Paradiso 300 esseri umani, a trasformarli in anime, vale a dire in nulla: roba tosta, di cui saremo incapaci in eterno, ci manca la tenebrosa Grazia, noi "non potevamo capire poiché eravamo troppo lontani e non potevamo ricordare, poiché stavamo viaggiando nella notte delle prime età, di quelle età che sono scomparse, lasciando appena un segno — e nessun ricordo. Noi siamo abituati a guardare l’immagine incatenata di un mostro vinto, ma lì — lì si poteva guardare una cosa mostruosa e libera".

Quell'uomo rideva. Rideva continuamente. Senza alcun motivo apparente. Una settimana prima Vauro Senesi aveva ricordato dei fatti, aveva insinuato il sospetto che quelle morti non erano così fatali: e quell'uomo rideva. E quella risata era abiezione pura, assoluta e fanciullesca: come quel carrello che si avvicina oscenamente al volto di Emmanuelle Riva mentre lei si butta sul filo spinato ad alta tensione nel lager di Kapò.

Tra le fauci di quella risata finiva l'universo tutto: i vivi e i morti del terremoto, gli scarabocchi maldestri di un disegnatore, i balconi di Piazza Venezia e i vulcani artificiali di Villa La Certosa, e infine i miei tortellini Rana, sempre più cari e sempre meno buoni, ogni anno che passa.

Avrei dovuto laurearmi in teologia, invece di perder tempo con le consecutio, i qual'è, i perchè, l'accord du participe passé, e i carrelli morali e della spesa. Almeno avrei imparato qualcosa, prima di finire six feet under. Avrei riconosciuto Satana, vedendo la sua risata vorace, annoiato sbadiglio baudelairiano.












Bisognava concludere. Manifestai alla contessina Delrio ciò che sentivo di non poterle dissimulare più a lungo. Si rassegnasse all’idea: le diagonali del parallelogrammo si secano nel loro punto mediano. E non è tutto: esse ne dividono l’area in quattro triangoli equivalenti.

Con il devoto rispetto che può germogliare da un animo profondamente cavalleresco, mi permisi di instare una quinta volta presso di lei, affinché si benignasse di accogliere queste due tesi, per suo graziosissimo placet, riconoscendone la validità. Riscuoter esse il plauso plebiscitario delle moltitudini, il favore de' più meticolosi accademici in tutti i paesi adorni di sistema metrico decimale ed in altri ancora.

La contessina capì che onorandomi d’un suo rapido assentimento, c’era modo ch’io prendessi commiato. Quello sbadiglio che da una novantina di secondi lasciava girar bighellone per i fasci mandibolari, senza curarsi di addomesticarlo, si diede perciò a conchiuderlo precipitosamente.

Prese una busta, messa per segnalibro nel trattato di geometria ad uso del ginnasio superiore, e me la porse dicendo: "Mammà dice se domenica ven-tura… può anzi venir sabato; perché domenica viene papà. E andiamo alla Ca' merlata".

Il tono della faccenda era un poco nel naso.

Carlo Emilio Gadda, La Madonna dei Filosofi ("Cinema"), in Romanzi e racconti, I (a c. di Dante Isella), Garzanti, Milano 1988, p. 51.


lunedì 5 gennaio 2009

Gaza dolce Gaza

Non so se avete notato, ma c'è un grosso casino attorno alla striscia di Gaza. È un fatto più unico che raro, dato che solitamente quella zona, come tutti sappiamo, è considerata una specie di "buen retiro" più tranquillo di una pensione sulla costa californiana, e infatti è principalmente abitata da ricchissimi anziani tedeschi e svizzeri, che vengono lì per godersi un meritato riposo, all'ombra degli ulivi e col bel mare davanti. E poi il clima è assolutamente ideale. Ora questo piccolo paradiso è sotto una tempesta di merda.

(Fossi in te continuerei a leggere. O almeno dai un'occhiata, che c'è pure una foto di Eva Grimaldi.)



Dal 2001 si ripete lo stesso scenario di azione-reazione, che alla fine stufa i telespettatori, sarebbe ora di chiedere agli sceneggiatori un guizzo di originalità. Dev'essere l'effetto F4, detto anche "basito in automatico" ben descritto nella serie "Boris". A un attacco di potenza 1 si risponde con un attacco di potenza 10. Siccome una banda di stronzi dementi abbatte due torri, io ti cancello due Paesi dalla cartina geografica. Magari mi dimentico di cancellarli dalla realtà (vedi dopo), ma insomma comunque faccio un casotto madornale. Non dico che quel che gli israeliani si beccano in testa quotidianamente siano petardi e tric-trac. Ma insomma non se li beccano quasi mai in testa, perché quando vedono che arriva un razzo generalmente si scansano. Poi a volte uno se lo becca in testa e muore. Allora gli altri si incazzano e fanno fuori cento palestinesi, con un missile solo. Questi cento morti sono equamente divisi in a) terroristi; b) vecchi; c) donne; d) bambini; e) uomini disoccupati; f) lavoratori precari; g) pecorella (al singolare, perché ogni missile israeliano è programmato per uccidere una sola pecorella). Il programma del missile è basato su logaritmi molto complicati che solo Chiappalupi potrebbe spiegare, e non perché Chiappalupi ce lo sa, ma perché ce lo ha descritto con tanto di grafici e disegnini Altamante Fruzzetti. Ma alla fine è solo un programma, e perché il programma funzioni è necessaria la partecipazione di tutti, in primis dei palestinesi. Mica basta pigiare il tasto F4. Se il missile fa i suoi cento morti previsti ed equamente divisi nelle categorie suddette (e ho omesso le sottocategorie, ma Chiappalupi o meglio Fruzzetti assicurano che ci sono), il motivo è semplice: i palestinesi, contrariamente agli israeliani, non si scansano. Mai.












I palestinesi sono un po' scemi.

Però anche loro hanno delle qualità. Ad esempio.

La striscia di Gaza ha smesso di essere il luogo ultrasicuro e tranquillo dove tutti sogniamo di andare a vivere in pensione perché i palestinesi se lo sono meritato. È una cosa che dicono gli esperti, non dico esperti quanto Altamante Fruzzetti, ma comunque esperti, di certo più di Chiappalupi, per intenderci.

I palestinesi se lo sono meritato. Ed è giusto che sia così, secondo me. È una regola che vale per tutte le cose. Non è che vuoi una cosa e subito ce l'hai, questo lo credono i bambini. Poi diventi grande e allora impari che se vuoi una cosa, qualsiasi cosa, te la devi meritare. Lo vuoi un gelato al pistacchio? Te lo devi meritare. Lo vuoi un avanzamento di carriera? Te lo devi meritare. Ti piacerebbe ritrovarti con il tetto sfasciato da un missile che finisce direttamente nella stanza dove dorme tuo figlio dimodoché devi rifare il tetto e un altro figlio perché quello di prima non andava bene? Telodevimeritare. (E secondo me, un po' se lo deve meritare anche il figlio, perché in famiglia ciascuno deve fare la sua parte.) Cioè, non è che le cose piovono dal cielo. I missili sì, ma qui mi si lingua la impasta e non so più a che metafa appendermi.

Comunque sapevatelo: gli italiani hanno parecchio da imparare dai palestinesi, in materia di meritocrazia. Infatti Brunetta ha già previsto un viaggio di studi, con full immersion (e le malelingue già si scatenano, su questa immersione; fortuna che Veltroni apre subito il dialogo e pacifica gli animi dicendo che "Brunetta fa le immersioni nella realtà palestinese ma anche nel mare blu, e noi ci batteremo per ottenere risultati su ambedue i fronti, sempre con il pensiero rivolto agli italiani che faticano a tornare all'inizio del mese").



Quindi i palestinesi se lo sono meritato. Io questo l'ho letto, giuro che l'ho letto. La cosa è opinabile, ma a me sembra soprattutto espressa in modo maldestro. È un'opinione, e le opinioni sono sacrosante, mentre il ragionare è blasfemo, lo ha detto pure il Papa l'altra sera al bar Settimiano. Però secondo me l'opinione sarebbe stata più convincente (l'opinione ha sostituito gli argomenti, non so se celosapevate, comunque sapevatelo, ora si convince a colpi di opinione) se fosse stata formulata nel modo seguente: "Hamas se lo è meritato". Però sono quisquilie, perché in fin dei conti Hamas è stato votato dai palestinesi, e quindi quel che si merita Hamas se lo meritano pure i palestinesi, che infatti pare siano felicissimi di meritarsi tutto questo ben di Dio. La democrazia, lo dice da sempre il nostro Presidente del Consiglio Berlusconi, comincia e finisce il giorno in cui vai a votare. Se voti, è democrazia. Poi se voti Berlusconi è pure meglio della democrazia, ma non complichiamo. Democrazia=elezioni e basta, sapevatelo, razza di asini ignoranti. Perché poi i palestinesi della striscia di Gaza abbiano votato Hamas, questo non ci interessa, siamo reduci dall'indimenticabile omelia del Papa al bar Settimiano, il sapere è blasfemo, e quindi credo quia absurdum est, che in italiano vuol dire una mela al giorno leva il medico di torno e vai pure in discoteca con Eva Grimaldi. E comunque con Hamas non si parla, anche perché nessuno capisce la loro lingua del cazzo, e non si può passare il tempo a fare full immersion di qua e di là, non c'è mica solo la striscia di Gaza da visitare, ci sono anche Capri, Acapulco e Bangkok, in tempi di crisi solo l'industria del turismo potrà salvarci, altro che God e God. E poi quelli di Hamas sono antipatici. Pare che ci vogliono ammazzare tutti. E lo dicono pure.



Un altro antipatico, ma molto, è Ahmadinejad. Infatti a me Ahmadinejad non piace. È pure brutto, tra l'altro. Ogni volta che mi telefona e dice: "Ti va un grappino dopocena al Settimiano?", io ci rispondo: "No, grazie, per stasera passo, perché devo ancora smaltire la sbornia di ieri sera col gaffeur e il Papa". Dico così perché non mi piace offendere nessuno, ma in realtà è proprio che non mi va, sarà che sono ebreo e Ahmadinejad dice che vuole ammazzare tutti gli ebrei, è chiaro che non gli piacciono, ciascuno ha le sue idiosincrasie, io ad esempio non sopporto le persone a cui puzza l'alito, e li vorrei non dico ammazzare ma almeno obbligare a fare i gargarismi quotidiani col botot o ad andare dal dentista o a mangiare meno aglio o insomma comunque a occuparsi della questione molare, come direbbe quell'imbecille del fratello gemello di Fruzzetti. Comunque e quand'anche, Ahmadinejad non è proprio l'ideale, come amicone, infatti preferisco il Papa, anche se quando beve troppi grappini si mette a parlare in tedesco e io non parlo il tedesco, scusami pardòn.

Ahmadinejad è come Hamas: nun ce se pò parla'. E quindi giù bombe, secondo lo scenario descritto sopra. Si cancella tutto: Irak, Afghanistan, Libano, striscia di Gaza. Poi come dicevo non si cancella niente ma si fa solo un gran casino, e in tutto 'sto casino finisce che gli arabi si annoiano, perché è sempre la stessa storia, e a furia di meritarsi tutte queste belle cose, finiscono per dirsi che gli piacerebbe meritarsi pure altro, magari più bello. Non sono mai contenti, gli arabi: gli dai una mano, e si prendono tutto il braccio. Dev'essere la frenesia dei consumi. Dev'essere che nei Paesi che dentro ci sono questi arabi non c'è la crisi. Infatti Tremonti ha già previsto una full immersion con triplo salto mortale e piroetta "a bomba" nel Golfo Persico per sondare le acque e il polso della situazione con Rolex incorporato nel succitato polso.

Allora le cose vanno così: noi (perché pare che quelli che lanciano i missili sono "noi", che decidiamo chi se li merita e chi no, perché un metro deve pur esserci, e siccome abbiamo grossi missili che vanno molto lontano, noi abbiamo il kilometro di giudizio, come il dente, per restare in alitudine), noi, dicevo, sparacchiamo migliaia di missili, facciamo bum bububum bububum e ammazziamo un sacco di gente che se l'è meritato, diciamo che su uno che ci ammazzano loro (noi ci meritiamo poco, siamo una civiltà in crisi), gliene ammazziamo cento. E gli chiediamo di non scansarsi, perché non vale. Sennò che gioco è?

Quel gioco si chiama guerra. Ne abbiamo fatte quattro, negli ultimi anni: Afghanistan, Irak, Libano, Georgia. Le abbiamo perse tutte. Vabbe', l'importante è partecipare, però le abbiamo perse tutte comunque. Roba da serie C, da Paulinho Cotechiño. Certo, la cosa fa incazzare. Come se per sette anni di seguito il Brasile di Pelé perdesse dieci partite consecutive contro l' A.S. Pizzighettone under 18. Mo' pare che i bookmaker inglesi diano perdente pure Israele, in questa partita in corso. Ma secondo me i bookmaker non c'imbroccano mai. E comunque se Israele perde, è tutta colpa dell'arbitro cornuto. Con Collina certe cose non sarebbero mai successe. Voglio vedere il replay.

Ora, ogni volta che perdiamo una guerra, la vince Ahmadinejad. Nel senso che Ahmadinejad ci mette tutto il suo stipendio, in tasca ai bookmaker. E ora è ricco sfondato e gira in SUV, bastardo del cazzo. Secondo me qui c'è di mezzo la mafia. Hanno truccato tutte le partite. Altro che Sky.

Ricapitolando. Irak, 1 a 0 per Ahmadinejad. Afghanistan, 1 a 0 per Ahmadinejad, Libano, 1 a 0 per Ahmadinejad. Fanno 3 a 0. Se gli allibratori (che non sono i coccodrilli, anche se li confondo sempre quando mi si bagnano gli occhi di lacrime, come direbbe il caimano) azzeccano pure l'ultimo pronostico, "noi" perdono pure il derby contro Gaza. 4 a 0.



Di solito, quando uno fa una guerra a un altro quattro volte di seguito, sbagliando sempre allo stesso modo, sarà meglio cambiare strategia o chiedere consigli a Trapattoni. Di solito, quando uno fa una guerra a un altro e la perde, gli tocca parlare con chi ha vinto. Forse quando ne hai perse quattro è quattro volte più vero, ma forse no, forse, come diceva uno coi baffi grossi così "quel che non ti uccide ti rende più forte", e quindi dai e dai, capace che a furia di perdere tutte le guerre possibili immaginabili siamo diventati invincibili, come Batman. Io non lo so, bisognerebbe chiedere l'opinione convincente degli strateghi. (No, Scroto: il baffone non è Stalin, non mi rompere e famme fini' de parla'. No, nun me lo ricordo chi era, magari John Lennon.)

E invece no. Son tutte regole nuove, perché se di tanto in tanto non cambi le regole sono i telespettatori che cambiano canale perché gli viene la biocca, e i telespettatori devono guardare Rai o Mediaset, Al-Jazeera non datur. Quindi, nell'attesa che ci si decida una buona volta a sostituire l'arbitro cornuto con il replay, abbiamo cambiato la guerra. Ora, sapevatelo: quando facciamo la guerra e perdiamo, siamo noi che dettiamo le nostre condizioni al vincitore. La guerra è un gioco per bambini, alla fine è solo un passatempo: "Devi capire Israele, fra poco ci sono le elezioni, e il Governo era obbligato ad agire perché sennò vince Netanyahu". Cioè, la guerra non è più l'ultima ratio, che in italiano vuol dire meglio un uovo oggi che una gallina domani. No, è una non stop televisiva, come il calcio d'estate. Ci sono le elezioni fra un mese, quindi guerra totale. Per coprire il palinsesto. La guerra è un gioco per bambini, poi si passa alla roba seria, che si chiama politica internazionale.



Quindi, riassumendo. In guerra c'è chi vince e chi perde. E vabbe': c'est la vie, come dice sempre un mio amico. Poi si passa alla politica (nelle nuove regole l'ordine è questo, la politica è l'ultima ratio, che in italiano si pronuncia razio, ma non è il Papa ubriaco e neppure il missile che forse, magari, chissà, un giorno finiremmo col meritarci pure noi, se proprio ce la mettiamo tutta e uniamo le risorse e affrontiamo coraggiosamente il futuro senza guardare in faccia a nessuno). E quando si passa alla politica chi ha vinto la guerra non conta un cazzo. Chi detta le condizioni è il più simpatico. Noi abbiamo perso (almeno) tre guerre contro Ahmadinejad in sei anni, ma con Ahmadinejad non parliamo perché è antipatico. (E poi è brutto, diciamoci la verità.)

Tutto chiaro?

Ahmadinejad pare dica che non è proprio così chiaro. Ma se continua a non capire glielo spieghiamo meglio. Però se la deve meritare, la nostra spiegazione. E siccome siamo stati così chiari in Afghanistan, Irak, Libano e striscia di Gaza, e siccome al confronto l'Iran è una piccola dittatura sudamericana tipo Panama sotto Noriega, dovrebbe andarci ancora meglio di prima, commettendo esattamente gli stessi giustissimi errori.

Poi c'è chi dice che l'Iran è una nazione, tipo di quelle toste, che persino i dissidenti più agguerriti e magari in esilio, se sapessero che laggiù gli iraniani si stanno meritando le stesse belle cose che si sono meritati i palestinesi, magari persino loro nel loro piccolo s'incazzano, mentre dovrebbero ringraziarci, perché noi tutte queste fatiche le facciamo tutte per loro, che gli vogliamo bene e gli vogliamo regalare la democrazia, che è quella cosa che un giorno uno vota per meritarsi altre bellissime cose nuove. Ma pare che siano dicerie, roba blasfema da intelligence, che in inglese significa malelingue. Sono gli stessi che dicono che in Iran si vota già, non proprio come da noi che ci meritiamo Berlusconi, loro sono un Paese di sfigati mica possono avere tutto subito, ma comunque dicono che si vota, laggiù.

Però io mica ci credo.

martedì 18 novembre 2008

Il Riconformista: I tagli SONO la riforma?

Tra le anime cosiddette moderate e/o riformiste e/o volenterose della diciamo sinistra e/o centrosinistra, non sono pochi quelli che disapprovano in parte se non in quasi tutto la protesta studentesca attualmente in corso. Spesso l'unica cosa che reputano davvero riprovevole, nell'azione del Ministro dell'istruzione, università e ricerca Mariastella Gelmini, risiede nel fatto che i tagli operati non siano accompagnati da alcun progetto di riforma.

Mi limito a esprimere il sospetto che i tagli siano la riforma stessa, in qualche modo. Nel senso che se si mette la scuola o qualsiasi altro ente pubblico nelle condizioni palesi di non funzionare più, la riforma diventa improrogabile e la sua stessa urgenza, riconosciuta da tutti, produce a stretto giro di posta la peggior riforma, perché tanto "inevitabile" quanto indiscussa (non c'è più il tempo, letteralmente, di negoziare).

Questo modo di agire fintamente "impolitico" — riduzione drastica di fondi pubblici applicata solo in apparenza "alla cieca" — sta colpendo altri Paesi, oltre all'Italia. In Francia, ad esempio. Il piano, sostanzialmente, sembra già essere stato pensato anni fa, e ringrazio il professore di liceo L.H. per avercene fornito due illustrazioni:



1)

Le misure di stabilizzazione poco pericolose.

Dopo aver descritto le misure rischiose, si può al contrario raccomandare numerose misure che non creano alcuna difficoltà politica. Per ridurre il deficit, una riduzione molto importante degli investimenti pubblici o una diminuzione delle spese di funzionamento non comportano rischi politici. Se si diminuiscono le spese di funzionamento, bisogna stare attenti a non diminuire la quantità dei servizi, anche a costo di un abbassamento della qualità [sic]. Si possono ridurre, ad esempio, i crediti di funzionamento alle scuole e alle università, ma sarebbe pericoloso ridurre il numero di alunni o di studenti. Le famiglie reagiranno violentemente di fronte a un rifiuto d'iscrizione dei loro bambini, ma non di fronte a un abbassamento graduale della qualità dell'insegnamento. La scuola può progressivamente e puntualmente ottenere un contributo dalle famiglie oppure sopprimere questa o quell'attività. Si fa caso per caso, in una scuola ma non in quella vicina, in modo tale da evitare un generale malcontento della popolazione.

Christian Morrisson, La Faisabilité politique de l'ajustement, "Centre de développement de l'OCDE, Cahier de politique économique n° 13", 1996, p. 30.




2)

Il problema che abbiamo in Francia è che la gente si dice contenta dei servizi pubblici. L'ospedale funziona bene, la scuola funziona bene. La polizia funziona bene. Allora bisogna fare un discorso, spiegare che siamo sull'orlo di una crisi maggiore — è quel che fa benissimo Michel Camdessus* — ma senza diffondere il panico, perché altrimenti la gente si chiude a riccio.

Dichiarazione di Renaud Dutreil, all'epoca Ministro della Funzione Pubblica e della Riforma dello Stato, 20 octobre 2004, durante un dibattito organizzato dagli ultraliberali della Fondation Concorde.


* Presidente del Fondo Monetario Internazionale dal 16 gennaio 1987 al 14 febbraio 2000.