venerdì 17 aprile 2009

Dell'abiezione

Les travellings sont affaire de morale.

Jean-Luc Godard, Table ronde sur "Hiroshima, mon amour" d'Alain Resnais, "Cahiers du cinéma", n° 97, luglio 1959.





La morale est affaire de travellings.

Luc Moullet, Sur les brisées de Marlowe, "Cahiers du cinéma", n° 93, marzo 1959.




Solo violenza aiuta dove violenza regna. Ieri sera ho messo sul fuoco una pentola piena d'acqua, ho tirato fuori dal frigo una confezione di ravioli ricotta e spinaci Rana, ho tagliato con le forbici un cartoccio di panna liquida, ho grattato un po' di parmigiano e ho acceso il televisore.

C'era AnnoZero.





Io AnnoZero non lo guardo mai, perché dove solitamente vivo RaiDue non arriva, dalle mie parti abbiamo diritto solo a Bruno Vespa, da anni non possiamo neppure guardare Euro e Mondiali perché la Rai non paga i diritti satellitari. A volte vedo dei pezzetti di AnnoZero su youtube, quando me li indicano gli amici. La trasmissione intera sul pc no, troppa fatica.

Sul mio pc di tanto in tanto raccolgo notizie degli amici, nel senso in cui li intende facebook o la cosiddetta blogosfera.


C'è quello convinto di giocare a pipsqueak-squashing senza accorgersi che si tratta di redcross-shooting.
C'è quello che deride un tale perché si è laureato in una materia indegna, così ridicola che personalmente sarei stato sonoramente bocciato al primo esame e non ci avrei mai più riprovato, tanto mi pare difficile. È anche vero che come diceva Julia Roberts in un film discreto, "I manicomi sono pieni di persone che si credono Gesù o Satana. Pochissimi hanno la fissazione di essere un tipo in fondo alla strada, che lavora per una compagnia di assicurazioni". Il dottor Caligari ospita migliaia di compagni che credono di salvare il mondo o se stessi iscrivendosi o addirittura creando gruppi su fb dediti alla lotta senza quartiere contro un pò, un dò, un qual'è. Come se da un'elisione o da un troncamento dipendessero esiti rivoluzionari (rivoluzionarii? rivoluzionarî? Ma vaffa). Come se bastasse tuffarsi nei congiuntivi per riemergere con decine di perle, come se l'orrore nel quale siamo impantanati fosse dovuto a una o (:o!) al posto sbagliato, a un semplice errore, a uno svarione e non piuttosto a un refuso deliberato e necessario.



Io non ascolto mai le parole del Papa, figuriamoci quelle dei suoi subalterni. Quasi mai. Per me può dire quel che vuole, giusto o sbagliato che sia, non faccio parte della sua parrocchia, dalla nascita, per scelta e per problemi di ricezione satellitare. A volte ascolto o leggo dei pezzetti delle
sue dichiarazioni, perché gli amici mi obbligano, ma di solito non ne penso nulla, le parole mi scivolano come acqua sugli impermeabili (e non sull'anima, non ci credo, nell'anima). Dalle mie parti si chiama "passare tra le gocce": perché uno si riserva per i grandi tifoni conradiani, ma poi passa la youth e ti ritrovi ad affrontare una tempesta di merda cilena.

È un atteggiamento completamente sbagliato, diciamocelo. Oltretutto è anche ingenuo. Finisce che uno arriva impreparato, come all'esame di una materia universitaria stupida, inutile, e difficilissima.

A furia di essere un pugile suonato, uno dimentica di andare in palestra, all'allenamento. Ce lo dicono, spesso, gli altri, gli amici, i compagni, convinti forse di essere dei contender, ma se gli chiedi di mostrarti il biglietto scopri che in mano hanno una sola andata per Palooka-ville, intraducibile distopia americana, anche se ricordo che Maud diceva a Jean-Louis: "Dovunque si vada, si è condannati alla provincia".

Così ieri sera ero troppo distratto per prevedere l'uppercut da k.o. Stavo lì con i ravioli sul piatto, un occhio rivolto alla televisione che parlava di un vignettista che non fa ridere perché invece di fare satira si permette di ricordare i fatti, disegnando un terremoto di scarsa entità che per motivi fatali ha fatto 300 morti in una sperduta cittadina del Congo belga, e di un uomo di potere che oggi parla esattamente nello stesso modo in cui parlava un altro uomo di potere ottant'anni fa; e l'altro occhio sul monitor del pc dove c'è quello che continua a cullarsi nella convinzione che la maggior parte delle donne abbiano 2 seni (mentre è molto più comune che ne abbiano 1, 3, 5), quello che spacca le semibiscrome in 4, quello che dispone di tutti i curriculum vitae di tutti gli esseri umani, nel 2042 saranno 9.000.000.000, nel 2666 chissà, forse 0, anche se pare che "to GOD, there is no zero". Una colossale Biblioteca di Babele di lauree immeritate, millantate, estorte, sperate: un incubo da far rimpicciolire l'archivio Andreotti, 3 millimetri al giorno.

Siamo solo buffoni, altro che dèi, al massimo dei lesser gods. Bastava vedere la povera Guzzanti, stremata, à bout de souffle, e te credo, questa realtà (ossia questa televisione) schiaccerebbe persino Andy Kaufman o Lenny Bruce, la guardavo afflitto con un occhio, mentre con la generosità dei perdenti mi strappava un sorriso nominando Marziale e Orazio, homuncio lepidissimus, penis purissimus, ma con l'altro occhio leggevo quel che mi scriveva un'amica, giustamente notava che il meglio ormai è fuori copione, quando non riuscendo più a trattenere la rabbia Sabina, interrotta da Ghedini ancor prima di cominciare il suo show, ripete urlando le parole dell'Azzeccagarbugli che questo Paese si è da sempre meritato: "DI PIETRO ORAMAAAIII!!!". E insisto, quell'urlo gli sfugge prima di iniziare il monologo. A mo' di involontaria confessione, a indicare che quanto seguirà non sarà uno sketch comico, ma solo uno sbocco di sangue, quel Mauvais sang che faceva dire a Michel Piccoli: "Non capisco che succede. È una cosa recente. Non riesco a dimenticare più niente. Le mie emozioni non si cancellano più una dietro l’altra, come prima: si ammucchiano, si accatastano. Nulla cicatrizza più. Poco fa, per qualche secondo, ho avuto paura. E ora mi porterò appresso questo schifo di paura fino alla fine".

Infatti Sabina Guzzanti è venuta dopo, a guerra finita. Hiroshima era già avvenuta, amore mio, e io non l'avevo prevista, avevo ignorato tutti gli sciami, la protezione civile si era scordata di avvertirmi.

A un certo punto, infatti, nello schermo della televisione (che poi è la realtà, o no?) è apparso il diavolo in persona.

Come sempre, si presenta sotto vesti rassicuranti. In questo caso, addirittura quelle ecclesiastiche. Ragiona come la maggioranza degli italiani, come uno di noi, insomma, parla la nostra lingua e aderisce allo spirito dei tempi, quello dell'ignoranza militante (non ho visto nulla, non ho letto un tubo, non so un beneamato cazzo e ne sono fiero). Un uomo comune. Ma c'è qualcosa che tradiva la sua natura di vero Dio, di fronte al quale siamo solo piccoli God, dilettanti della comicità o pugili suonati, noi, la Guzzanti, quello che vorrebbe abbattere la bêtise o la connerie, vasto programma, quello che cosa hai studiato a fare e quello che se un pò mi dò gnente.

Noi cerchiamo di essere un po', appena un pò intelligenti, ma quell'uomo era geniale, "nel senso più notturno e tedesco di questa brutta parola", come diceva il giovane Borges stroncando Quarto potere di Welles: il film che non a caso segnò l'intera opera futura dello scrittore argentino. Possiamo scavalcare un paio di ostacoli, ma non basta darsi all'ippica per essere un Cavaliere dell'Apocalisse. Tutta la nostra ironia spuntata, tutte le nostre battutine di spritz: e nel giorno del Giudizio potremo vantare al massimo un paio di omicidi. Un tableau de chasse che la polizia municipale di Santa Teresa o Ciudad Juárez non reputerebbe neppure degno di un serial killer, indagine archiviata. Quell'uomo riesce in un sol colpo a  frullare in Paradiso 300 esseri umani, a trasformarli in anime, vale a dire in nulla: roba tosta, di cui saremo incapaci in eterno, ci manca la tenebrosa Grazia, noi "non potevamo capire poiché eravamo troppo lontani e non potevamo ricordare, poiché stavamo viaggiando nella notte delle prime età, di quelle età che sono scomparse, lasciando appena un segno — e nessun ricordo. Noi siamo abituati a guardare l’immagine incatenata di un mostro vinto, ma lì — lì si poteva guardare una cosa mostruosa e libera".

Quell'uomo rideva. Rideva continuamente. Senza alcun motivo apparente. Una settimana prima Vauro Senesi aveva ricordato dei fatti, aveva insinuato il sospetto che quelle morti non erano così fatali: e quell'uomo rideva. E quella risata era abiezione pura, assoluta e fanciullesca: come quel carrello che si avvicina oscenamente al volto di Emmanuelle Riva mentre lei si butta sul filo spinato ad alta tensione nel lager di Kapò.

Tra le fauci di quella risata finiva l'universo tutto: i vivi e i morti del terremoto, gli scarabocchi maldestri di un disegnatore, i balconi di Piazza Venezia e i vulcani artificiali di Villa La Certosa, e infine i miei tortellini Rana, sempre più cari e sempre meno buoni, ogni anno che passa.

Avrei dovuto laurearmi in teologia, invece di perder tempo con le consecutio, i qual'è, i perchè, l'accord du participe passé, e i carrelli morali e della spesa. Almeno avrei imparato qualcosa, prima di finire six feet under. Avrei riconosciuto Satana, vedendo la sua risata vorace, annoiato sbadiglio baudelairiano.












Bisognava concludere. Manifestai alla contessina Delrio ciò che sentivo di non poterle dissimulare più a lungo. Si rassegnasse all’idea: le diagonali del parallelogrammo si secano nel loro punto mediano. E non è tutto: esse ne dividono l’area in quattro triangoli equivalenti.

Con il devoto rispetto che può germogliare da un animo profondamente cavalleresco, mi permisi di instare una quinta volta presso di lei, affinché si benignasse di accogliere queste due tesi, per suo graziosissimo placet, riconoscendone la validità. Riscuoter esse il plauso plebiscitario delle moltitudini, il favore de' più meticolosi accademici in tutti i paesi adorni di sistema metrico decimale ed in altri ancora.

La contessina capì che onorandomi d’un suo rapido assentimento, c’era modo ch’io prendessi commiato. Quello sbadiglio che da una novantina di secondi lasciava girar bighellone per i fasci mandibolari, senza curarsi di addomesticarlo, si diede perciò a conchiuderlo precipitosamente.

Prese una busta, messa per segnalibro nel trattato di geometria ad uso del ginnasio superiore, e me la porse dicendo: "Mammà dice se domenica ven-tura… può anzi venir sabato; perché domenica viene papà. E andiamo alla Ca' merlata".

Il tono della faccenda era un poco nel naso.

Carlo Emilio Gadda, La Madonna dei Filosofi ("Cinema"), in Romanzi e racconti, I (a c. di Dante Isella), Garzanti, Milano 1988, p. 51.


6 commenti:

  1. Un testo bellissimo, verissimo. Mi piace moltissimo. Sentire che non ci hanno rubato la paura.

    Bianca

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  2. non capisco quando dici:

    "Come se da un'elisione o da un troncamento dipendessero esiti rivoluzionari (rivoluzionarii? rivoluzionarî? Ma vaffa). Come se bastasse tuffarsi nei congiuntivi per riemergere con decine di perle, come se l'orrore nel quale siamo impantanati fosse dovuto a una o (:o!) al posto sbagliato, a un semplice errore, a uno svarione e non piuttosto a un refuso deliberato e necessario."

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  3. Non lo so manco io, bisognasse chiederlo al povero sciemo che ha scritto 'sta robba, qual'è il senso di tutto c'ho. Fosse per me avrei cassato tutto con la pennarella rossa, bellacciao e guarda un pò. Ma mi dò un freno, perché non ho il dono della circonicisione e dunque bonanotte a tutti, eh? la massa è finita, Amin.

    P.S. Anche Dada.

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  4. guarda che secondo me il vero arcivescovo è quello giovane, ed è pure ventricolo, perché l'altro è un pooh pazzo.

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  5. Quelo che racconta le barzellette zozze?

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  6. tipico caso di abiezione di coscienza

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