In questa estate del nostro scontento il cerchio cocente del sole viene quadrato in pallida scacchiera dal solerte sindaco sceriffo. Ma i suoi sono tutti provvedimenti che sembrano piccini, timidi, e immaginiamo i primi cittadini sgomenti di fronte a un compito di cui intuiscono l'immensità vertiginosa, un mare che sono destinati ad affrontare con il proverbiale cucchiaino. Un'effusione qua, un torso nudo là, una panchina sovraffollata, lascivi massaggi, ambulanti inquietanti, accattoni ladroni... una casistica talmente attenta a pestare solo i piedi giusti (cioé a non pestare i piedi dei giusti) da rischiare di diventare enciclopedica, un tentativo di esaurire tutti i luoghi dell'indecenza pubblica. Là dove sarebbe forse grossolano, ma senz'altro chiaro ed efficiente usare "negro", "peccatore", "povero" ci si costringe a sottili distinzioni che, una volta accostate, come in un puzzle, faranno pur sempre ricomparire le silhouettes di "negro", "peccatore", "povero". Ma partire dalle grandi categorie potrebbe apparire operazione datata, indurre nella mente dei più sensibili, o anche solo dei più anziani, fastidiosi effetti di déjà vu.
Ci piace allora riportare un elenco di divieti talmente esaustivo e insieme non convenzionale da consentire una creativa messa al bando di gran parte della letteratura. Ce lo segnala Altiero, a cui si deve anche la traduzione
In un articolo apparso nel Cahier de l’Herne dedicato a Borges, il suo amico e collaboratore fedele, Adolfo Bioy Casares, parla di un progetto di racconto, “ancora uno che non scrivemmo mai” (1), concepito in compagnia di Silvina Ocampo e dello stesso Borges.
Si svolgeva in Francia. L’eroe era un giovane letterato di provincia, attirato dalla fama -limitata ai circoli letterari più raffinati e da lui percepita- di uno scrittore morto qualche anno prima. Faticosamente, l’eroe ricercava e otteneva le opere del maestro: un discorso, che consisteva in una serie di eleganti luoghi comuni redatti discretamente, un elogio della spada degli accademici, pubblicato in opuscolo; una breve monografia, dedicata alla memoria di Nisard, sui frammenti della Lingua latina di Varrone; una Ghirlanda di sonetti freddi tanto nel contenuto quanto nella forma. Di fronte alla difficoltà di conciliare queste opere, così algide e prive di passione, con la fama del loro autore, l’eroe cominciava un’inchiesta. Giunto al castello dove era vissuto il maestro, riusciva finalmente ad accedere ai suoi manoscritti. Riesumava bozze ammirevoli, irrimediabilmente mutile. Alla fine, trovava una lista di interdizioni che annotammo sulla copertina sbiadita e sui risvolti di una copia di An experiment with Time: è da lì che la trascrivo:
In letteratura bisogna evitare:
- Curiosità e paradossi psicologici: omicidi per benevolenza, suicidi per contentezza. Chi ignora che, psicologicamente, tutto è possibile?
- Le interpretazioni molto sorprendenti di opere e di personaggi. La misoginia di Don Giovanni, ecc.
- Particolarità, complessità, talenti nascosti di personaggi secondari e persino fugaci. La filosofia di Maritorne. Non dimenticare che un personaggio letterario consiste nelle parole che lo descrivono (Stevenson).
- Coppie di personaggi rozzamente dissimili: Don Chisciotte e Sancho, Sherlock Holmes e Watson.
- Romanzi dagli eroi appaiati: i riferimenti che attirano l’attenzione di un personaggio sull’altro sono fastidiosi. Inoltre, questi romanzi generano delle difficoltà: se l’autore azzarda un’osservazione su un personaggio, deve inventarne una simmetrica per l’altro, senza abusare di contrasti né cadere in languide coincidenze: situazione pressapoco impossibile: Bouvard e Pécuchet.
- Differenziazione di personaggi tramite manie. Cf.: Dickens.
- Meriti ottenuti con novità e sorprese. La ricerca di ciò che non è stato ancora detto sembra un compito indegno del poeta di una società colta; i lettori civili non si divertiranno con la scortesia della sorpresa.
- Nello sviluppo della trama, giochi vanitosi con il tempo e lo spazio. Faulkner, Borges, Bioy, ecc.
- La scoperta che in un’opera determinata il vero protagonista è la pampa, la foresta vergine, il mare, la pioggia, il plusvalore. Redazione e lettura di opere di cui si possa dire ciò.
- Poesie, situazioni, personaggi con i quali il lettore si identifichi.
- Frasi che si possono applicare in generale o che rischiano di trasformarsi in proverbi o di diventare famose (sono incompatibili con un discorso coerente).
- Personaggi che possono diventare dei miti.
- Personaggi, scene, frasi intenzionalmente di un luogo o di un’epoca. Il colore locale.
- Fascino ottenuto da una parola, da oggetti. Sex e death-appeal, angeli, statue, bric-à-brac.
- L’enumerazione caotica.
- La ricchezza di vocabolario. Ogni parola alla quale si fa ricorso come sinonimo. Viceversa, le mot juste. Qualsiasi ricerca di precisione.
- Le descrizioni viventi. Mondi riccamente fisici. Cf.: Faulkner.
- Sfondi, atmosfere, clima. Caldo tropicale, ebbrezze, la radio, frasi che si ripetono come un ritornello.
- Inizi e fini metereologiche. Coincidenze della metereologia e dell’anima. Si alza il vento!… Bisogna tentare di vivere!
- Metafore in generale. In particolare visive; più particolarmente agricole, navali, bancarie. Vedi Proust.
- Qualsiasi antropomorfismo.
- Romanzi la cui trama conserva un parallelismo con quella di un altro libro. Ulisse di Joyce e l’Odissea.
- Libri che fingono di essere dei menù, degli album, dei concerti.
- Ciò che può suggerire delle illustrazioni. Ciò che può suggerire dei film.
- La censura o l’elogio nelle critiche secondo il precetto di Ménard (2). È sufficiente segnalare gli effetti letterari. Non c’è nulla di più ingenuo di quei dealer in the obvious che proclamano l’inezia di Omero, di Cervantes, di Milton, di Molière.
- Nelle critiche, ogni riferimento storico o biografico. La personalità degli autori. La psicoanalisi.
- Scene domestiche nei romanzi polizieschi. Scene drammatiche nei dialoghi filosofici.
- L’aspettativa. Il patetico e l’erotico nei romanzi d’amore; gli enigmi e la morte nei romanzi polizieschi; i fantasmi nei romanzi fantastici.
- La vanità, la modestia, la pederastia, l’assenza di pederastia, il suicidio.(3)
(1) Adolfo Bioy Casares, “Lettres et amitiés”, in: Cahier de l’Herne, n° 4, Editions de l’Herne, 1981, p. 14. (*).
(2) Jorge Luis Borges, Il Giardino dei sentieri che si biforcano. (Nota di Adolfo Bioy Casares.)
(3) Adolfo Bioy Casares, “Lettres et amitiés”, in: ed. cit., pp. 14-16..
A scanso d'equivoci, fantomatico e ingrato lettore: questo testo è una perla rara. In rete non si trova, in nessuna lingua. I "Cahiers de l'Herne" su Borges credo siano esauriti da anni. Ne esiste una versione tascabile, dove sono saltati due-tre testi tra cui, guarda caso, proprio questo.
RispondiEliminaComunque il romanzo scritto tenendo conto dei divieti esiste, credo da prima ancora della stesura del Levitico. (No, non è "Tristram Shandy".)
L'autore si chiama Macedonio Fernández, grande vecchio del gruppo di "Sur" e vero padre spirituale del bibliotecario più o meno cieco. Di sé Macedonio scriveva: "Sono nato a Buenos Aires, un anno molto 1874. Non proprio subito, ma poco dopo, cominciai a essere citato da Jorge Luis Borges, con una timidezza di elogi talmente scarsa che, a causa del rischio terribile che gli fece correre la sua impetuosità, cominciai a essere, io, l’autore del meglio della sua produzione. Fui un talento de facto per equivoco, per usurpazione."
Il romanzo in questione si chiama "Museo del romanzo della Eterna (Primo Romanzo bello)", che in qualche modo è il seguito di "Adriana Buenos Aires (Ultimo Romanzo brutto). Una lettura ideale di fine estate (diciamo in alternativa a "La cognizione del dolore", per restare in materia maradagàlese): tradotto (piuttosto bene) in italiano dal Melangolo. Mi limito a trascrivere l'indice, per darti un'idea, spettrale e maleducato lettore:
Prologo all’eternità.
Anche l’autore parla.
Lettera ai critici.
Focolare della non esistenza.
Siamo un sognare senza limiti e solo un sognare. Non possiamo, quindi, avere idea di cosa sia un non-sognare.
Ai lettori che soffrirebbero se ignorassero ciò che il romanzo racconta.
Prologo che crede di sapere qualcosa, non del romanzo, poiché non gli è permesso, ma della dottrina dell’arte.
Prologo mai visto.
Salutazione.
Altro desiderio di salutare.
Come è stato possibile, alla fine, il romanzo perfetto.
Dunamor.
Un personaggio, prima di essere inaugurato.
Prologo, anch’esso.
Prologo metafisico.
L’uomo che fingeva di vivere.
Guida ai Prologhi (prologo indicatore).
Alle porte del romanzo. (Anticipazione del racconto).
Al lettore di libri in vetrina.
Due personaggi scartati.
Primo prologo del romanzo per il lettore ottuso.
Ai non esperti in metafisica.
Prologo dell’indecisione.
Questo è il romanzo iniziato con la perdita del suo “personaggio cuoco” Nicolasa, dimissionario per motivi nobilissimi.
Romanzo delle cose compiute, dei mutismi, dei segreti, delle fragranze conservate, delle parole che rimangono senza suono perché si affidano a una smorfia o a un sorriso delle labbra che parlano e nemmeno quel sorriso viene dato.
Eterna e Dolcepersona.
Prologo del personaggio preso a prestito.
All’autore (del romanzo) non accade nulla?
Forsegenio si lamenta del suo nome.
Prologo di doverosa lettura per ricompensare un autore che non lascia entrare il ragazzo nel romanzo.
Cosa volete: devo continuare i prologhi.
Prologo che si sente romanzo.
Prologo del bollitore e del’armadietto.
Lettera geniale che io vorrei uno dei miei personaggi, il Presidente, scrivesse a Ricardo Nardal.
È sufficiente “precedere” per essere un prologo?
Prologo modello.
Prologo quadruplo?
Al lettore singhiozzante.
Imprecazione contro il lettore ininterrotto.
Prologo che fra i prologhi si alza in punta di piedi per vedere dove, in lontananza, inizia il romanzo.
1° Nota di postprologo; e 2° osservazioni di ante-libro.
ammettiamolo: è difficile dire "vien voglia di leggerlo" senza rischiare la sboronaggine, il sopracciglismo supremo, lo snobismo, lo splendido isolamentismo e la torredavorietà
RispondiEliminaVien voglia di leggerlo.
RispondiEliminaVabbé, Sten, tu sei oltre l'infinito e a dirlo non rischi niente. Dust ha ancora qualche pelo sullo stomaco (ma ci sta provando, si impegna, si vede...)
RispondiEliminaMa piuttosto, tornando a cose serie: come avrà fatto il nostro Macedonio a rispettare il divieto "la pederastia, l’assenza di pederastia"?
Questo mi incuriosice: stiamo dalle parti di Epimenide...
Arkulari, noi sulla torre d'avorio siamo come pascià. Quando passa re Artù coi suoi cavalieri delle mie noci di cocco, gli catapultiamo addosso sterco di vacca. E finito lo sterco, lancez la vache!
RispondiEliminavien voglia di scriverlo.
RispondiEliminakk
Ma sai che ti ci vedo
RispondiEliminaa fare le pernacchie e picchiarti i guanti sull'elmo?
By the way, nella corsa alla satira involontaria, di cui oramai ridiamo per non piangere,il comune di Firenze è seriamente in lizza per il primo premio (cioè, battere i più fantasiosi leghisti e paraleghisti padani, ce ne vuole, nonsosemispiego: la culla della cultura, la tradizione di sinistra, Capitini...).
Che poi uno dice che non vale più la pena di fare satira, che la realtà è così demente che non c'è manco più gusto a parodiarla...
o no?
kk, intanto leggi questo, sempre di Macedonio:
RispondiElimina"L’Universo o Realtà e io siamo nati il 1° giugno 1874, ed è semplice aggiungere che entrambe le nascite si sono verificate da queste parti e in una città di Buenos Aires. C’è un mondo per ogni nascere, e il non nascere non ha nulla di personale, è puramente non esserci mondo. Nascere e non incontrarlo è impossibile; non si è visto nessun io che nascendo si trovasse senza mondo, per cui credo che la Realtà che c’è la portiamo noi, e non ne resterebbe nulla se effettivamente morissimo, come temono alcuni".
Arkulà, se continui a non sbagliare un colpo finirai coll'essere cacciato dall'ultimo unico gioco in città. E comunque nel remake il coniglio di Troia lo fa Napolitano.
Alt, non sarai un mago di google ma sei un genio.
RispondiEliminaGrazie, glielo dirò non appena avrò finito di mangiargli il cervello e tutto il resto.
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