mercoledì 8 ottobre 2008

1929: Bozze tecniche di defenestrazione

Non era la prima volta che si buttava dalla finestra.

Carmelo Bene in Nostra Signora dei Turchi (1968).




Poi c’è quello che dice: “C’è il mondo, là fuori”. Sì, ciao core. Il borrettore di cozze vive in un paese straniero, dove piove sempre. A volte fa indigestione di cozze: borreggere stanca. Tira le tende e si butta sul letto, con la sveglia pronta a suonare tre quarti d’ora dopo. Se dormi di più, stai peggio di prima.

    Poi si prepara il sesto caffè, e prima di rimettersi a levare una virgola lì, aggiungere un apostrofo qui, c. minore, c.vo e m.etto, esce a prendere una boccata d’aria, o piuttosto a fare scorta di fumo (sigarette, insomma).

    Viene subito bloccato dall’impetuoso e baffuto amministratore del palazzo in cui gli tocca vivere: “Hai visto che casino?”. “No, dormivo.” “Ma come?! Non hai sentito il rumore? La polizia! I pompieri!” “No, dormivo. Che è successo?” (curiosità finta, l’amministratore è un pirla assoluto ma è l'amministratore).



    Il borrettore di cozze vive al primo piano della palazzina. Al terzo piano c’è una famiglia: lui, lei, due figli. Il borrettore ha visto un paio di volte lei (bella gnocca). E basta: il borrettore si tiene alla larga dai vicini, e possibilmente dal genere umano. Un congiuntivo sbagliato puoi sempre cambiarlo. Gli uomini sono incorreggibili. E anche le donne. Quanto ai bambini, è inutile insegnar loro alcunché. Sanno già tutto. Infatti il borrettore ha una figlia di sei anni, e si fa spiegare la vita da lei.

   Fatto sta che mettendo assieme i due incontri con la signora (bona) del terzo piano e il ciacolare condominiale, il quadro della situazione si delinea nel modo seguente: lei non fa nulla, lui è disoccupato da più di un anno (come minimo). E oggi pomeriggio, mentre il borrettore ronfava, in preda a incubi che nessun terapeuta potrebbe interpretare (un’elisione mancata, un a capo con “Nietz-” da una parte e “sche” dall’altra sfuggito alla sua attenzione), l’inquilino del terzo piano ha voluto buttarsi dalla finestra.

    L’amministratore è preoccupato: teme per la sua reputazione. Cosa ne sarà del condominio? Daranno la colpa a lui? Ancora assonnato, cerco di rassicurarlo: “Ma suvvia, mica ce l’hai spinto tu, no?”. (Gli do del tu, all’amministratore, ho capito che è un tipo che ci tiene, quando parla con me della madre di mia figlia la chiama per nome, come se tra loro ci fosse una lunga relazione amichevole. E poi non posso mica dirgli che alla peggio, fosse finita male bastava passare un colpo di straccio: niente niente, capace che mi scambia per un cinico, non sia mai.) Poi, siccome la vita di un amministratore dev’essere ancor più noiosa di quella di un borrettore, “è subito giallo”, come si legge nei titoli dei giornali (“Esce di casa, dice vado a comprare le sigarette, torna dopo cinque minuti ed è subito giallo”): “E comunque, chi li avrà chiamati, polizia e pompieri? Io no di certo! Io stavo in ufficio, non mi sono accorto di niente! Chi sarà stato?”. Non gli rispondo, la soluzione mi sembra ovvia, ma lo vedo arrovellarsi, vuol mostrare che oltre ad amministrare (malissimo, s’intende), è anche capace di pensare. Lasciamogli la soddisfazione di vivere un pomeriggio da tenente Colombo. Gigioneggia per trenta secondi: fronte corrucciata, sopracciglia assorte e smorfie varie (lo sforzo cerebrale lo fa somatizzare, poverino). Poi, improvvisamente, eureka. “Secondo me dev’esser stata la moglie.” (Ecco, bravo, ci sei arrivato.)

    Intanto il borrettore pensa che le cose sarebbero potute andare diversamente. La moglie non è in casa, il borrettore non dorme, e con la coda dell’occhio vede una sagoma che attraversa il mondo, là, fuori dalla finestra. Paro paro come l’immagine di un film, come si chiamava? E chi se lo ricorda. C’era la crisi, e i direttori di una multinazionale venivano contagiati dalla stessa, strana mania. Si mettevano in piedi sul lungo tavolo del consiglio d’amministrazione, facevano una corsetta come Sara Simeoni e arrivati alla fine della pista si scaraventavano ilari dall’ultimo piano di un altissimo grattacielo. Gli impiegati che lavoravano ai piani inferiori non ci facevano neppure più caso, quando con la coda dell'occhio intravvedevano il padrone di turno che attraversava il rettangolo della finestra. Poi arrivava un idiota, si inventava un cerchio di plastica, i conti dell’azienda tornavano in verde e tutto finiva bene.

   Come si chiamava quel film, di già?

   Come si chia…

    “Sa, pare che non sia neppure il primo tentativo” interrompe l’amministratore (quello vero, non quello del film). “Dicono che ha già provato a suicidarsi molte altre volte.”

    Ah, allora vuol dire che finché c’è morte c’è speranza. Basta evitare sonnellini pomeridiani, e se quello ci riprova forse anche per il borrettore la vita, per un attimo, diventerà uguale a quel film: non era certo un capolavoro, ma era pur sempre un film (come si chiamava, però?).






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