venerdì 28 novembre 2008

Canto di un Natale di crisi

Cuore italiano



Lo ricordo come fosse oggi. Si era ormai vicini al Natale, il freddo era pungente e fummo ben felici, mio padre e io, di entrare nel calduccio del bar dove eravamo soliti fare colazione.

"Che cosa le preparo, signor Gino ?"

"Il solito, Giorgio, grazie"

"Eh, lei sì che è un bravo italiano, me lo lasci dire" commentò Giorgio, preparando i quattro cappuccini e le sei brioches previste dalla rigida dieta dei tempi di crisi "Fossero tutti come lei, l'economia si risanerebbe in un baleno. Ma c'è dei mascalzoni in giro.."

Mio padre alzò gli occhi al cielo sorridendomi e mi accompagnò al tavolino.

Attorno, la solita folla di operai e impiegati, bravi italiani intenti a consumare due o tre pastarelle innaffiate da abbondanti dosi di caffè e latte.

Quasi non notai l'ometto male in arnese che stava facendosi largo con difficoltà in direzione del bancone. Era un vecchio minuscolo, curvo e magro da far pietà. Attirata che ebbe l'attenzione del barista, a bassa voce ordinò un espresso.

Il signor Giorgio aggrottò le sopracciglia e "Solo un caffè, ho capito bene ? Nient'altro ?" gli chiese, in tono severo, mentre un operaio, un pezzo d'uomo gigantesco e dal volto truce, si voltava, squadrando l'anziano da capo a piedi.

"Oh, sa, il medico mi ha proibito i cibi troppo zuccherati.." rispose questi, balbettando un po'.

"Son tutte scuse" sbottò l'omaccione "Lei è uno che risparmia, l'ho capito subito. Con quel cappottino liso, le scarpe sfondate.. Bell'esempio di disfattista. Qui siamo tutti onesti e accaniti consumatori, sa, e tra noi certa gente non ce la vogliamo"



Nel bar cadde il silenzio. Il vecchio lanciava sguardi disperati in giro, come cercando qualche aiuto, ma s'ebbe in cambio solo una bustina di zucchero in viso, lanciata da qualche ignota mano. Vi fu chi rise.

A quel punto mio padre, fino ad allora immerso nei suoi pensieri, si voltò distrattamente verso il bancone. Un lampo sembrò attraversargli il viso e si slanciò a frapporsi tra i due, quasi rovesciando il tavolino nella foga.

"Non è come pensate !" gridò, rivolto alla sala "Conosco quest'uomo, non accanitevi contro di lui ! Ciò che non ha il coraggio di dire per pudore, per quel senso di dignità che alberga anche nei cuori più umili, ebbene, lo dirò io. So che siete persone rudi, ma di buon cuore, e certo lo perdonerete. Egli è non meno italiano di tutti noi, ma è stato più di noi colpito duramente dalla sorte. Egli è.. un banchiere"



Un mormorio percorse il bar. L'omaccione parve trasformarsi di botto in una verginella: arrossì, abbassò gli occhi e farfugliò "Mi spiace.. non potevo sapere.."

Il vecchietto assisteva alla scena a testa china, certo vergognandosi della propria miserevole condizione. Era uno spettacolo da stringere il cuore, e vidi più di un ciglio inumidirsi su quei volti già aspri ed ora addolciti dalla commozione.

Per qualche secondo si restò così, uniti in una sorta di muta preghiera a Colui che, lassù, decide dei nostri destini: chi fortunato operaio e lieto consumatore, chi umile banchiere.

Fu Giorgio, il barista, a rompere il silenzio. Si schiarì la voce e, in tono di finto rimprovero, rimbrottò il vecchio: "E perché non l'ha detto subito, benedett'uomo ? Ecco, tenga, il suo caffè insieme alla miglior sfogliatella della città. E scommetto" e qui alzò la voce "che molti dei presenti vorranno aggiungere qualcosa. Aiuteranno così e quest'uomo e la nostra economia". Ma non v'era bisogno alcuno di incitamenti. Era già ressa per regalare al mite vecchietto dolciumi e prelibatezze d'ogni sorta, tanto che alla fine si faticò a trovare una sporta abbastanza capiente per contenere tutto quel ben di Dio.

Il vecchio, stordito, sembrava non capacitarsi di tanto affetto. Uscì all'indietro, curvo per il peso, continuando a inchinarsi e a ringraziare, accompagnato dalle benedizioni di tutti.

"Figliolo" disse mio padre accarezzandomi il capo "Oggi hai potuto vedere quanto grande sia l'anima del nostro popolo. Sempre pronta a soccorrere chi è stato piegato dall'esistenza, sempre solidale con chi è in vera difficoltà".



La sagoma dell'ometto rimpiccioliva alla vista, offuscata dai primi fiocchi di neve. Per un attimo si fermò, sembrò cercare qualcosa nel sacco ricolmo di leccornie. Ne estrasse qualcosa di dorato, forse un bonbon Ferrero, lo scartocciò con frenesia, poi riprese il cammino.

Lo guardava allontanarsi, mio padre, il bel volto soffuso di un sorriso malinconico e venato di ironia, ma bonaria.

"E così" mormorò fra sé e sé "temo che, in questa notte di Natale, a tenerti sveglio non saranno gli spettri ma i dolori di pancia, mio povero Scrooge"

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