mercoledì 12 novembre 2008

Lezioni di cinema vissuto (+ Catalogo delle idee chic reloaded)

Lezione n° 8 (Parte I): "Burn Baby Burn" a casa mia si dice "Falla finita"




And now ladies and gentlemen those of us who work in television have a technical term for this part of the program. We call it "The End".

Alfred Hitchcock saluta gli spettatori alla fine di Come servire un agnello (Lamb to the Slaughter, 1958), episodio 106 della serie televisiva Alfred Hitchcock Presents diretto da lui stesso.




Al cinema non esistono né sad né happy ending (anche se c'è chi si ostina a non capirlo: vedi sotto, cliccando su "continua a leggere"). Ambedue erano un'illusione dei produttori, e i produttori non esistono più da cinquant'anni.

In realtà tutti i film finiscono sempre nello stesso modo. Con le luci che si riaccendono.

(Poi volendo si può sempre pignola'. Lo faremo nella seconda parte della lezione, Avati e Gelmini permettendo.)

Un'eccezione alla regola: ed è il miglior finale della storia del cinema, ne sono convinto almeno fino a domattina.












Il catalogo delle idee chic reloaded




FINE




saul-steinbergMi unisco al lamento di Pupi Avati per lanciare un timido appello agli scrittori di romanzi, film e fiction televisive: dateci storie a lieto fine. Non sempre. Qualche volta. E non un lieto fine retorico e spudoratamente roseo. Sporcatelo pure con un retrogusto amaro, perché non esiste successo della vita che non si porti dietro la sconfitta di qualcun altro o di un’altra parte di noi stessi. Però offrite uno squarcio di luce, vi scongiuro. Fateci alzare dal divano o dalla poltrona con lo stesso spirito con cui ci si solleva dal lettino dei massaggi: sconquassati, eppure pieni di vigore.

Intendiamoci. Sto parlando di lieto fine. Non di lavaggio del cervello per piazzisti d’ottimismo, come vorrebbero i governanti. E tanto meno di epilogo caramelloso, quella mistura nauseabonda di ciglia umide e frasi da carta dei cioccolatini, di cui certa fiction nostrana è purtroppo maestra. Il bene va raccontato con gli stessi ingredienti usati per raccontare il male. È molto più difficile. Però in tempo di crisi ne abbiamo un bisogno disperato. La denuncia degli orrori è sacrosanta ma asfittica: dopo aver visto per l’ennesima volta spadroneggiare la cattiveria e l’ingiustizia, avrò voglia di rinchiudermi ancora di più in un bozzolo opaco di cinismo. Non di uscire per strada a sfidarle. E comunque qui nessuno reclama la dittatura del lieto fine. Ci basterebbe che diventasse una variabile. E che chi lo persegue non venisse considerato dai suoi colleghi un artista minore. Dante, che minore non era, sostò a lungo all’inferno. Ma infine uscì a riveder le stelle.



Massimo Gramellini, Il fine è lieto (rubrica "Buongiorno"), "la Stampa", 11 novembre 2008, p. 1.

2 commenti:

  1. 'A Zombi maledetto, ma che mi stavi facendo vedere il finale di uno dei film più belli eccetera eccetera? Ma che siamo matti? Vabbé Gramellini, ma non scherziamo!

    Il finale me lo guarderò al suo posto, e cioè alla fine del film (quando verrà il momento).

    Per il resto, aiuto agli happy end e alla "voglia di combattere": Gramellini: combattere tu? Per strada? A fare che?

    Ma mi faccia il piacere...

    RispondiElimina
  2. Stenelo fa i capricci ad Alt, Arkulà (ma la promessa a Francesca vale ancora).

    P.S.: 'Sto commento lo capisce solo Mangiabambini.

    RispondiElimina